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Tre piccoli gioielli
Quando Jane Austen scrive il suo primo romanzo compiuto, "Lady Susan", che sarà pubblicato nel 1871 ad opera del nipote dell’autrice, ha solo 19 anni e i grandi capolavori che le concederanno eterna gloria sono ancora lontani (anche se non troppo), eppure questo romanzo breve, luminoso e divertentissimo sa già catturare il lettore e presenta tutte le caratteristiche che di lì a poco, affinate e sviluppate, renderanno indimenticabili opere come "Ragione e sentimento" e "Orgoglio e pregiudizio": personaggi accuratamente ed efficacemente caratterizzati, stile terso e smagliante, adorabili quadretti di vita della borghesia di campagna nel ‘700 inglese, un’ironia elegante, ma affilata e infallibile nel colpire piccole manie, desideri, comportamenti e convenzioni sociali.
La protagonista che dà nome al romanzo non è una giovane eroina alle prese con avventure e disavventure sentimentali, ma una vedova non più giovanissima, affascinante, seducente e senza scrupoli, che pur di conquistare il benessere economico e un posto di rilievo in società è pronta a tutto, tessendo subdole trame e complotti ai danni di odiate rivali e ingenui signorotti di campagna e coinvolgendo nei suoi piani matrimoniali perfino la figlia, la dolce Frederica.
La narrazione è in forma epistolare, la stessa struttura tipicamente settecentesca che di lì a poco Jane Austen sceglierà per "Elinor e Marianne", prima stesura di "Ragione e sentimento", e lo scambio di lettere coinvolge un buon numero di personaggi: dunque gli stessi episodi sono spesso narrati da più punti di vista e ciascuno di essi, inevitabilmente limitato e parziale, ne svela lati e aspetti particolari, a dimostrazione, con grande modernità, della complessità del reale, della varietà di angolazioni dal quale esso può essere osservato e giudicato e della facilità con cui l’uomo può essere tratto in inganno al suo cospetto.
Più vicino al modello dei grandi romanzi austeniani è invece "I Watson", che l’autrice iniziò e abbandonò tra il 1804 e il 1805, in un periodo cupo per la famiglia Austen, segnato dalle difficoltà economiche e dalla morte del padre di Jane: le scarne vicende di questo romanzo lasciato in sospeso ruotano infatti intorno a un’eroina tipicamente austeniana, Emma Watson, fanciulla amabile e graziosa, di buona famiglia ma priva di mezzi e, come la Fanny Price di "Mansfield Park" o l’Elizabeth Bennet di "Orgoglio e pregiudizio", costretta a vivere tra amici e parenti a lei inferiori nella mente, nei modi e nell’educazione. Il matrimonio è l’unica soluzione per sottrarsi a un futuro di povertà, ma Emma, al contrario delle sue intraprendenti sorelle maggiori, è troppo onesta e intelligente per accalappiare un marito ricco all’unico scopo di non diventare zitella e non esiterà ad allontanare ricchi pretendenti in attesa di incontrare il vero amore.
Nonostante sia poco più che un abbozzo di romanzo lasciato incompiuto, "I Watson" colpisce per la forza dei personaggi e la vivacità della narrazione e tutto lascia pensare che se la Austen avesse deciso di portarlo a termine avremmo oggi tra le mani un ennesimo capolavoro.
A interrompere la stesura di "Sandition", l’ultima opera alla quale l’autrice lavorò, fu invece l’aggravarsi della malattia che la colpì negli ultimi anni di vita e che l’avrebbe condotta alla tomba. La vicenda è ambientata in una piccola e amena località affacciata sul mare, Sandition, che l’intraprendente ed entusiasta – o forse sciocco e ingenuo – Mr. Parker, proprietario terriero del luogo, vuole a tutti i costi trasformare in una stazione balneare alla moda, ed è raccontata per lo più dal punto di vista di Charlotte Heywood, ragazza di campagna che trascorre un soggiorno a Sandition. Tuttavia i pochi capitoli che possediamo danno l’idea di una vicenda corale, nella quale ciascun personaggio, che come in tutti i romanzi della Austen sembra delineato con fini colpi di scalpello fino ad emergere letteralmente dalla carta, reclama la sua parte di attenzione. Tutti sembrano ossessionati da un’idea, un obiettivo o una mania di sterniana memoria e l’autrice, attraverso lo sguardo vivace e acuto di Charlotte, si diverte immensamente a prenderli in giro: Mr. Parker, che impegna tutte le sue energie, il suo denaro e il suo tempo nel progetto utopistico di rendere grande e famosa la piccola, modesta Sandition; lady Denham, che dovrebbe essere la sua compagna di speculazione e invece è paradossalmente attaccata ad ogni spicciolo; il nipote di lady Denham, sir Edward, che come Catherine Morland in "Northanger Abbey" commette l’errore di confondere la fantasia e la letteratura con la realtà e pur di trasformarsi in un eroe da romanzo ambisce a conquistare una fanciulla bella e povera della quale, forse, non gli importa davvero. E cosa dire del fratello e delle sorelle di Mr. Parker, afflitti da una serie di terribili mali immaginari che naturalmente nessun dottore è in grado di curare? Sebbene gravemente malata, Jane Austen non può far tacere la sua ironia e contro chi avrebbe potuto scagliarla con piena efficacia in quel momento della sua vita se non contro una sfilza di malati immaginari da far invidia all’Argante di Molière?
Tutti costoro e molti altri ruotano intorno a Sandition, vero e proprio centro della narrazione, e a Charlotte, che con la sua ironia e il suo buon senso ricorda un po’ Elizabeth Bennet e non può fare a meno di sorridere osservando una simile banda di bizzarri personaggi. Forse anche Charlotte, come le altre eroine austeniane, era destinata al matrimonio e forse l’avremmo accompagnata fino all’altare se solo Jane Austen avesse potuto portare a termine la sua storia.