Dettagli Recensione
“Ho fatto un bel sogno, signori.”
Cos’è questo romanzo? Un Boa.
Cominci a leggerlo e ti si avvolge morbido morbido intorno, un cachemire.
Caldo, avvolgente, coinvolgente.
L’ho letto al sole in Sicilia, sulla spiaggia a Selinunte e davanti al tempio di Segesta.
E l’ho letto di notte, perché mi capita di svegliarmi e di non riaddormentarmi subito, ma di mettermi a leggere un’oretta o due. Credo che siano le mie ore di lettura preferite, queste “tra parentesi”, sapendo di poter dormire un altro po’, dopo.
Poi il boa rivela la sua natura variegata. Non è una sciarpa, ma un serpente.
Ti avvolge e non ti molla.
Poi ti stringe e non ti molla.
Ma al momento di soffocarti diventa tutt’uno con te.
O meglio, diventa te.
E liberi tutti, tu e il boa.
Liberi, ma consapevoli e sorprendentemente ben orientati dopo tanta tempesta, perché il boa è diventato “la” boa, cioè un “oggetto galleggiante, ancorato sul fondo, con funzione di segnalazione/ormeggio”. Magari non un’ancora e neanche un faro, però mica male.
Cosa c’è in questo romanzo? Tutto.
Adesso so cosa rispondere ai noiosi che ogni tanto si svegliano con “che libro porteresti sull’isola deserta?”
(Menzogna. Non rispondo mai, portatevi un po’ quello che vi pare e non rompete le balle).
Com’è questo romanzo?
È l’ultimo di Dostoevskij, per alcuni la “summa” della sua produzione, 900 pagine pubblicate a puntate, un paio di anni prima della morte. Tolstoj non riuscì a finirlo (e mal gliene incolse). CHIUNQUE ci ha scritto sopra, da Freud a Proust. Verrebbe da dire che è perfetto, ma non lo è. In alcuni punti si intuisce la necessità delle “puntate”, in altre Dostoevskij gigioneggia… ci sono tutti i suoi grandi temi, molti dei topos delle sue opere, a pensarci tutti i grandi temi e i topos dell’umanità.
“Ho fatto un bel sogno, signori.”
Dice Mitja, il fratello maggiore. E leggere questo romanzo lo è proprio stato.
Tre fratelli, Dmitrij, Ivàn, Aleksej, più forse un quarto illegittimo, Smerdjakov, un padre orrendo, Fëdor, che qualcuno, non so come, ha paragonato ad Edipo, un altro padre, tenerissimo, quello del piccolo Iljušeèka (rispetto ai diciotto anni, leggermente meno fatica con i nomi – e i nomignoli – russi), donne soprattutto due, di cui una veramente veramente veramente terrificante (Katerina Ivanovna) e l’altra Grušenka che un collega mi ha detto che Marylin Monroe avrebbe voluto a tutti i costi interpretare. Non è un’attrice che amo particolarmente, ma sarebbe stata perfetta (anche se Maria Schell, nella foto con il mio gemello Yul Brynner, non è da meno). Per tacere della signora Chochlakòva che strappa risate solitarie a scena aperta.
“Cosa leggi di così divertente?”
“I Fratelli Karamazov.”
Ebbene sì.
E poi i bambini. Uno dei perni della riflessione di Dostoevskij, attraverso Ivàn. Su tutti Iljušeèka e Kolja.
E poi i religiosi, i due “Jurodivye”, la Smerdjaskaja , soprattutto, lo Starec Zosima.
Solo a fare l’elenco e ricordando pochi tratti di ciascun personaggio salta agli occhi che Dostoevskij avrebbe potuto scrivere tranquillamente cinque romanzi, con questo materiale.
E invece mette tutto qui. La colpa, il pentimento, il libero arbitrio, l’innocenza, il pentimento, la redenzione, il vizio, l’amore, l’ossessione, la passione…
Occhio, però.
Mi è capitato spesso di leggere che “I Fratelli Karamazov” sia un “romanzo filosofico”.
No.
È una fregatura! È come “Memorie di Adriano” che uno legge “filosofico”, pensa “ganzo” e non lo tocca manco con le pinze. Tanto Adriano quanto i Karamazov sono ROMANZI e grandi romanzi.
Con storie che funzionano, con personaggi che funzionano e che non sono lì per farti lo spiegone e dire quanto è profondo Dostoevskij/Yourcenar, come è capace a descrivere l’animo umano!
Personaggi che “riconosci” non appena entrano in scena. Sono un’umanità nota, quel compagno di scuola, quel collega, persino un po’ tu, ogni tanto. Mitja in perenne equilibrio precario fra la depravazione e la grandezza, a un passo dalla redenzione… eterno paradosso di Zenone vivente. La tremenda e vischiosa Katerina, che deve far scontare il suo amore, il suo sacrificio, la sua abnegazione… senza che nessuno glielo abbia chiesto. Davvero un’inutile titana malefica. Ricorda anche un po’ la sua quasi omonima di “Jules e Jim”.
(Apro parentesi. Tanto Katerina tanto Agrafena son due personaggi femminili “veri” non le insopportabili caricature che si leggono spesso, come non lo è la Chochlakòva, che pure si presterebbe a diventare un cliché. Non sono madri eroiche o devote amanti, non sono virago o sante e manco puttane, né tomboy o teneri fiori . Visto? Si può. Ho capito che è Dostoevskij, però… c’è speranza sulla terra e nei libri).
Poi c’è Ivàn che porta sulle spalle alcune delle parti che ho amato di più: il suo poema “immaginato”, cioè “Il Grande Inquisitore” e i suoi discorsi con un diavolo che assomiglia non poco al Pastore di Saramago.
E poi Alëša. Da solo e con i fratelli, con lo Starec. Con Kolja (e questo bambino che sembra uscito da un libro di King… quanto è stato bello trovarlo lì, con il Iljušeèka a fare da contrappeso sereno – forse, che a me la storia del cane mi persuade fino a un certo punto – alla tragica vicenda degli adulti).
Iljušeèka con il pane ai passerottini, Zosima che esorta ad amare le creature felici (animale e bambini) e ad essere allegri. E Alëša che chiude con la gioia del ricordo.
Bon, sarà anche vero, come dice Smerdjakov che “anche due chiacchiere, con un uomo intelligente, sono interessanti”, ma fanno anche commuovere e gioire di averlo incontrato (e ritrovato).
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Commenti
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In realtà si tratta di una rilettura perché lessi tutto Dostoevskij fra i sedici e i diciannove anni (fu un periodo non particolarmente facile e Dostoevskij mi fu di grande supporto), ma molte cose eran decisamente sfumate, nella mia memoria. Così ho deciso di riprenderle, piano piano, tutte.
Devo dire che sono molto felice della mia decisione!
A presto.
Ho gia votato? Pazienza..
E' stato un piacere ritrovarla!
Delicata come la rugiada e pungente come la brina.
Mario
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Il libro presenta una vastità (non solo quantitativa) e una profondità che stupiscono anche coloro che hanno alte aspettative. Abituarsi a leggere libri di questo livello penso sia un buon antidoto alla tentazione di cadere in letture banali.