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Il richiamo della foresta
 
Il richiamo della foresta 2017-05-09 08:17:07 Mian88
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    09 Mag, 2017
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Buck

Con una penna chiara, cruda e asciutta, Jack London offre al lettore tre racconti di grande intensità e riflessione: “Batard”, “Il richiamo della foresta” e “Preparare un fuoco”.

Con “Batard” apprendiamo di un rapporto uomo-animale basato sull’odio. Pubblicato per la prima volta nel 1902 su “Cosmopolitan” come “Diable – A dog” e in seguito incluso in “The Faith of Men” (1904) con il titolo di cui ancora oggi è munito, l’opera narra le vicende che vedono quale protagonisti il cane, da tutti soprannominato – tranne che per il suo padrone che lo considerava soltanto un bastardo – “Stirpe dell’inferno”, e di Black Leclère, a sua volta un diavolo, che avrebbe dovuto prendersi cura di quel cucciolo e non anche farne destinatario del suo disprezzo. Di fatto tra i due non vi è simpatia sin dal primo incontro. Da quel momento, il loro rapporto si basa sul malessere, sulla violenza e sulla volontà di non abbassare mai il capo. Ognuno vuol prevalere sull’altro, qualsiasi sia il prezzo. Infine, la vendetta dell’animale sull’uomo ha adito. Il costo di questa, è alto. Ma non lo scoraggia dal conseguirla.

Ne “Il richiamo della foresta”, al contrario, protagonista è Buck, incrocio tra un San Bernardo e un cane da pastore scozzese. La giovinezza del canide ha luogo nelle terre del Sud, il suo padrone è un giudice e agi e comodità sono all’ordine del giorno. Quando la corsa all’oro diventa una febbre irrefrenabile, Buck viene rapito dal giardiniere che lo venderà a uomini che hanno bisogno di cani da slitta per condurre la loro volontà di arricchimento. Ha inizio così un periodo molto duro per l’ex facoltoso animale. Resterà spaesato e ben presto imparerà la legge della “Zanna e del bastone”. Eppure Buck è rapido nell’apprendere, nel conquistarsi la sua posizione dominante. Le leggi della natura lo conducono, e seppur cambierà più padroni, tra cui alcuni assolutamente incapaci, egli riuscirà a sopravvivere e a primeggiare. Svolta significativa sarà rappresentata da John Thorton, che lo salverà da morte certa e gli restituirà fiducia e calore verso quella, spesso spietata razza, che l’essere umano è. Ma badate bene, gli anni e gli avvenimenti hanno temprato il suo spirito, ed ogni giorno il richiamo è sempre più forte, l’unica barriera che impedisce al protagonista di abbandonarsi interamente ad esso è proprio l’amore verso questo eclettico uomo.

A conclusione dell’opera vi è “Preparare un fuoco” (To build a fire) che ha al contrario il compito di, con la sua portata contenutistica dedicata al Grande Nord, rappresentare il ruolo dell’essere umano nella natura. London, a tal proposito, riprese la prima versione pubblicata nel 1902 su “Youth’s Companion”, vi aggiunse la figura del cane e tolse il nome al protagonista Vincent, trasformando il racconto nel capolavoro edito in “The Century Magazine” nel 1908 e di poi nella versione attuale classe 1910 (volume intitolato “Lost Face”).

Quelle narrate in questa raccolta sono storie eterogenee, che descrivono un rapporto complicato, fatto di molteplici sfumature. Un tratto che certamente non manca di venire alla mente del lettore è quel profondo senso di fedeltà che comunque ed in ogni caso è proprio di questi cani. E’ percepibile con mano, anche nei momenti più crudi. Sono racconti fortemente empatici quelli presentati, novelle dove il lettore entra semplicemente in simbiosi con i canidi, ed in particolare con Buck e il suo avvincente percorso.

«I suoi occhi pregavano per restare dov’era. Il conducente era perplesso. I suoi compagni parlarono di come si può spezzare il cuore di un cane negandogli di fare il lavoro che lo ha ucciso, e ricordarono gli esempi che avevano vissuto di cani troppo vecchi per fare quella fatica, oppure feriti, morti proprio quando erano stati tolti dalle tirelle. Inoltre, visto che Dave doveva comunque morire, consideravano una grazia lasciarlo morire contento e a cuor leggero ancora attaccato alle tirelle. Dunque venne di nuovo legato e tirò con l’orgoglio di un tempo, anche se più di una volta, a causa della morsa che gli procurava la lesione interna, involontariamente pianse. Cadde molte volte e ancora imbragato alle tirelle venne trascinato; una volta la slitta passò sopra a una delle sue zampe posteriori e da quel momento iniziò a zoppicare. Ma sino al campo tenne duro, e qui il conducente gli fece posto accanto al fuoco. Il mattino dopo era troppo debole per viaggiare. Quando fu il momento di essere legato cercò di strisciare verso il conducente. Con uno sforzo spasmodico riuscì a tirarsi su, barcollò e cadde. Poi si diresse verso il punto dove stavano mettendo i finimenti ai suoi compagni strisciando come un verme. Trascinava il corpo verso l’alto con una specie di movimento a strattoni portando avanti prima le zampe posteriori e poi quelle anteriori, quindi dava un altro strattone e avanzava di qualche altro centimetro. Le forze lo abbandonarono e i suoi compagni lo videro per l’ultima volta mentre rantolava nella neve smaniando per raggiungerli. Riuscirono a sentire l’ululato desolato, sino a quando, oltre una fascia di legname sul fiume furono fuori dalla visuale» p. 104-105

«Si rifiutò di muoversi. Aveva sofferto troppo, era distrutto per sentire qualcosa. E mentre le botte continuava a piovergli addosso, la scintilla della vita dentro di lui sfarfallò e crollò. Era quasi spenta. Si sentiva stranamente insensibile. Era colpevole che lo stavano picchiando, ma era come se fosse tutto molto lontano. Poi le ultime sensazioni di dolore lo abbandonarono. Non sentiva più, anche se molto flebilmente riusciva a sentire l’impatto del bastone sul corpo. Ma non era più il suo corpo quello, gli sembrava così lontano» p. 122

«Esiste una pazienza del selvatico; è quella tenace e instancabile, costante come la vita che fa stare immobile per interminabili ore il ragno nella rete, il serpente nelle spire, la pantera nel suo appostamento; questa pazienza è tipica della vita quando essa va a caccia del proprio cibo ancora vivo; era la stessa di Bucj, che restando a fianco del branco ne ritardava la marcia, faceva infuriare i giovani maschi, metteva in apprensione le femmine e i piccoli, e portava il maschio ferito dritto verso un’impotente e folle rabbia. » p. 150.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
a chi ama gli animali e i racconti di avventura.

N.B. = le edizioni attuali dell'opera comprendono e constano anche la presenza degli altri due racconti, da qui la mia recensione a "tre".
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Commenti

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Mane
12 Mag, 2017
Ultimo aggiornamento:
12 Mag, 2017
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Straordinario Jack London...
E' difficile trovare uno scrittore che, al suo pari, libero da sovrastrutture, sia capace di trasfondere una tale purezza al racconto,
senza morbosamente compiacersi della crudità espressa.

Tre volte complimenti per la tua recensione tripla e
soprattutto per la scelta estremamente azzeccata dei passi estratti,
emblematici dello spirito della scrittura di London.
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