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Quando il diavolo ci mette lo zampino
Fedor Sologub (pseudonimo di Fedor Kuz’mic Teternikov) è uno scrittore poco conosciuto in occidente nonostante la sua primaria rilevanza nel panorama letterario russo del periodo compreso fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. “Il demone meschino” è la sua opera maggiore, alla quale dedicò ben dieci anni della sua vita (dal 1892 al 1902) e si presenta come un romanzo complesso, soggetto a molteplici chiavi di lettura. La trama principale in sé è molto semplice: Peredonov, professore di ginnasio di una piccola città di provincia, al contempo sadico e paranoico, distrugge sé stesso nell’ossessivo desiderio di un avanzamento di carriera. Lo spunto della vicenda è sicuramente autobiografico: lo stesso Sologub per molti anni svolse il mestiere di insegnante e conobbe la dura realtà della provincia russa, fatta di miseria, ignoranza, violenza ed alcolismo. Tuttavia, nonostante l’impietosa descrizione della grettezza della vita di provincia ed i frequenti riferimenti alla realtà russa dell'epoca, “Il demone meschino” si distacca dal filone del romanzo realistico e non solo per la ricorrente presenza del tema dell’orrido e del diabolico, rappresentato dall’ “innafferabile" (la piccola e informe creatura che tormenta il protagonista) e dalle altre allucinazioni di Peredonov, ma anche e soprattutto perché l’autore, attraverso l’apparente realismo, rappresenta un simbolo: quello di una condizione umana dominata dal caos e da un’irrazionalità autodistruttiva. L’intero romanzo, infatti, è pervaso da un’atmosfera, spesso grottesca, di generale follia che si manifesta non solo nei pensieri e nelle azioni del protagonista ma anche nel fatto che gli altri personaggi non riconoscano nel comportamento di Peredonov alcun sintomo di patologia psichica e lo considerino, a seconda dei casi, o uno stravagante buffone o un ingenuo da turlupinare: l’unico ad insospettirsi è il direttore della scuola che chiede un consulto al medico del ginnasio, ma il medico stesso si limita a rispondere con una facezia dicendo che “Peredonov non poteva uscir di senno, perché non ne aveva, e che faceva sciocchezze semplicemente perché era stupido”. Del resto, non solo Peredonov, ma anche quasi tutti gli altri personaggi manifestano sintomi evidenti di varie psicopatologie e parafilie: così ad esempio c’è il mercante che, per un’irresistibile compulsione, risponde ai propri interlocutori con ritornelli del tutto avulsi dall’oggetto della conversazione ma rigorosamente rimati; c’è la moglie del notaio con impulsi sadici nei confronti del figlio, che fanno subito scattare un’intesa erotica con Peredonov. Ci sono poi i vari notabili della città, ai quali il protagonista si rivolge con insensate e comicamente controproducenti richieste di protezione, presentati al lettore in una carrellata dall’irresistibile sarcasmo e tutti accomunati da una sorta di demenza che, al di là della pazzia di Peredonov, esclude a priori qualsiasi possibilità di comunicazione razionale: così ad esempio abbiamo il sindaco Skucaev che, dopo aver pronunciato un discorso vuoto e inconsistente (potremmo dire automatico, cioè da automa), si affloscia nella poltrona come un “vecchio rimbambito”; oppure l’iracondo procuratore Avinovickij con i caratteri tipici del disturbo esplosivo intermittente. Da questo universo cupo e delirante sembrerebbe salvarsi la sensuale relazione fra i personaggi più “freschi” del romanzo, il ginnasiale Sasha Pylnikov e la giovane Ljudmila; tuttavia, sebbene essi apparentemente contrappongano un mondo leggero e luminoso a quello tetro e disperato di Peredonov, anche il loro rapporto non sfugge ad una sottile atmosfera di tensione violenta che lo colloca apertamente nei canoni della relazione sadomasochistica, con Ljudmila nel ruolo della dominatrice - padrona e Sasha in quello del dominato - schiavo. Del resto la figura di Ljudmila, sebbene parzialmente nobilitata da un animo esteta ed appassionato, è corrotta, al pari di quelle degli altri personaggi, dal continuo ricorso alla menzogna ed alla maldicenza. Altro elemento stilistico essenziale dell’opera è, come già accennato, quello dell’orrido e del diabolico. Peredonov infatti è al centro di un mondo demoniaco ed egli stesso, con un costante crescendo nel corso della narrazione, è frequentemente in preda a quelli che, nella tradizione popolare, sono alcuni fra i sintomi “classici” della possessione demoniaca: teme l’incenso, blatera frasi incomprensibili ed è spesso soggetto ad allucinazioni. Peraltro, anche in questo caso, analoghe connotazioni diaboliche si disvelano progressivamente in quasi tutti gli altri personaggi ed in particolare in quelli femminili che assumono veri e propri caratteri stregoneschi: ad esempio la Vershina è scura, sempre vestita di nero, avvolta in una nuvola di fumo di tabacco ed attrae Peredonov nel suo giardino con gesti ammalianti; la Grushina ha “occhi maliziosi e dissimili: quello di destra più grande e quello di sinistra più piccolo”; Ljudmila viene paragonata da Sasha ad una “rusalka”, una specie di demone femminile della mitologia slava. Inoltre molto spesso sia i personaggi maschili che quelli femminili si danno improvvisamente a danze lascive ed estatiche, a veri e propri “sabba”. La stessa natura è ostile e diabolica: il gatto di Peredonov, brutto e grasso, in un tragicomico parallelo con il suo padrone, diventa sempre più aggressivo e “spiritato”; ai crocicchi appare spesso un inquietante montone (che nel delirio del protagonista rappresenta la trasfigurazione dell’ “amico” - idiota Volodin); anche le piante che crescono ai margini delle strade o nei giardini sono di specie velenose e allucinogene, come l’aconito e lo stramonio (non a caso noto popolarmente come erba del diavolo o delle streghe). Altri motivi portanti di questo romanzo di Sologub sono, infine, l’inganno ed il paradosso. Il primo viene annunciato già nell’incipit della narrazione (“...pareva che in quella città si vivesse d’amore e d’accordo. E persino in allegria. Ed era invece soltanto un’impressione.”) ed accompagna il lettore fino alla fine: dalla falsa lettera della principessa che promette a Peredonov la nomina ad ispettore scolastico all’assurda diceria che Sasha Pylnikov sia una ragazza. Il secondo poi si ripete in continuazione: Peredonov vive nel terrore di essere calunniato e sarà proprio lui a calunniare; crede di guadagnarsi l'appoggio delle autorità cittadine ed invece ottiene l’effetto esattamente opposto; vive nel sospetto che tutti possano nuocergli e, proprio in ragione di tale sospetto, finirà con il concentrare la sua paranoia sull’unica persona per lui veramente innocua, lo sciocco Volodin. Per concludere, prendendo in prestito le parole dello stesso Sologub, in quel “profondissimo mascalzone” che è Peredonov e nel suo mondo terribile ed allucinato c’è tutto questo e probabilmente “molto altro, tutti gli elementi di cui è composta la vita nelle sue multiformi manifestazioni”: sta al lettore scoprire e …riconoscersi, perché, sebbene in pochi siano disposti ad ammetterlo, almeno una volta, anche solo nei nostri pensieri più inconfessati, siamo stati tutti un po’ Peredonov.
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Lessi questo libro anni fa e ne ricavai l'impressione di un piccolo capolavoro, una trasposizione delle grandi tradizioni di Gogol' e Dostoevskij nella Russia ormai in decomposizione a cavallo tra il XIX e XX secolo.
Grazie per avermelo riportato alla memoria.
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