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Il mondo perduto
 
Il mondo perduto 2017-03-02 16:10:10 viducoli
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2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
viducoli Opinione inserita da viducoli    02 Marzo, 2017
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La necessaria perpetuazione...

... di un’ideologia superata dai fatti

La fama di Arthur Conan Doyle è indissolubilmente legata a quella del suo personaggio letterario più famoso: Sherlock Holmes. È così oggi, ma è stato così anche vivente l’autore, tanto che questi una volta disse di odiare il detective di Baker street perché era più famoso di lui, facendolo morire per poi essere costretto a resuscitarlo a furor di popolo (e probabilmente di editore).
In realtà Holmes compare in una parte non preponderante della vastissima produzione letteraria di questo autore, che scrisse numerosi romanzi e racconti di genere fantastico, di avventure, del mistero e del terrore, di ambientazione storica e medica (essendo – come il suo alter-ego letterario dottor Watson – laureato in medicina) nonché saggi sullo spiritismo, disciplina di cui si interessò verso la fine della sua vita.
Una gran parte di queste opere non è mai stata tradotta in italiano, e credo che se ne siano perse le tracce anche in Gran Bretagna, ma altre ci permettono di conoscere la produzione relativamente meno nota di Conan Doyle, scritta come detto anche con l’intento di affrancarsi dall’ingombrante detective.
È il caso de 'Il mondo perduto', apparso nel 1912, primo romanzo in cui compare un altro personaggio protagonista di un ciclo narrativo composto da alcuni romanzi e racconti: il Professor George Challenger.
Challenger (il cui cognome programmatico rivela da solo il carattere popolare e didattico della letteratura di Conan Doyle dopo lo strepitoso successo di Holmes) è uno scienziato, uno zoologo, misantropo ed estremamente irascibile, in perenne feroce polemica con il mondo accademico ufficiale che mette in discussione le sue teorie e le sue scoperte. Il suo terribile carattere si riflette nell’aspetto fisico, che l’autore descrive così al momento della sua comparsa in scena: ”Aveva la faccia e la barba di un toro assiro: florida la prima, la seconda così nera al punto da riflessi quasi azzurri, tagliata a ventaglio […] I capelli erano speciali; una folta ciocca schiacciata e liscia delineava una curva spiccata sulla sua fronte massiccia. Gli occhi azzurro-grigi […] erano molto chiari, molto scrutatori e molto imperiosi. Una estesa quadratura di spalle e un petto rigonfio come un barile erano le altre due parti di quel corpo mostruoso […] unitamente a due mani gigantesche, pelose e brune […] e [a] una voce tonante, aggressiva, ringhiosa…”. Come si vede una caratterizzazione sicuramente stereotipata nella sua unilateralità, ed in effetti il Professor Challenger, almeno per come emerge da questo romanzo, è un personaggio indubbiamente molto meno complesso e sfaccettato rispetto a Sherlock Holmes, scevro da ogni ambiguità o mistero: è un personaggio che oggi definiremmo fumettistico o da romanzo d’appendice, ed indubbiamente, come detto, riflette la volontà dell’autore di ripetere il clamoroso successo editoriale di Holmes dando in pasto ai lettori una figura facilmente identificabile nel contesto di una storia di facile consumo.
Il romanzo è narrato in prima persona da un giovane giornalista, Ned Malone. Egli è innamorato della bella e ricca Gladys, che però, di fronte alla proposta di matrimonio, gli dice di avere come ideale gli uomini famosi e coraggiosi. Malone chiede quindi al suo giornale di affidargli un reportage avventuroso e riceve l’incarico di intervistare il terribile dottor Challenger, il quale sostiene di avere scoperto, durante una spedizione nella giungla amazzonica, un altopiano isolato in cui vivono ancora i dinosauri del giurassico. Purtroppo ha perso nel viaggio di ritorno le prove che aveva raccolto e per questo è deriso e ostracizzato dalla comunità scientifica. Il giovane riesce ad entrare nelle grazie del professore e, dopo una infuocata conferenza scientifica, entra a far parte di una spedizione incaricata di trovare le prove di quanto asserito da Challenger, composta da quest’ultimo, dal professor Summerlee, rivale scientifico di Challenger, e da lord Roxton, un intrepido cacciatore.
Gran parte del racconto è affidato alle corrispondenze che Malone scrive dall’Amazzonia mandandole rocambolescamente a Londra, e descrive le drammatiche ed esaltanti avventure del quartetto sull’altopiano, che naturalmente esiste davvero e sul quale l’evoluzione si è fermata a causa dell’isolamento fisico: l’altopiano infatti è inaccessibile, elevato com’è al di sopra di ripide pareti granitiche, e solo l’ingegno dei quattro esploratori permetterà loro di raggiungerlo. Oltre ai dinosauri erbivori e carnivori ed agli pterodattili incontreranno molte altre forme di vita credute estinte, tra i quali una tribù di pigmei in perenne lotta con dei ferocissimi uomini-scimmia.
Dopo alcuni mesi di permanenza sull’altipiano, i nostri eroi riusciranno in modo rocambolesco a lasciarlo e a tornare a Londra, dove saranno portati letteralmente in trionfo.
Questa in breve la trama di un romanzo che letto con gli occhi di oggi non può che apparirci ingenuo, anche se questa tipologia di ingenuità attira ancora il pubblico, come testimonia il successo ottenuto non moltissimi anni fa da un film come 'Jurassic Park', che deve molto, come il romanzo di Michael Crichton da cui è tratto, al libro di Conan Doyle. Del resto molti sono stati, nel corso dei decenni, i film direttamente ispirati al romanzo di Conan Doyle, a testimonianza del suo successo editoriale. Si pensi, del resto, al potere di attrazione che poteva suscitare una storia come questa nel periodo in cui uscì: all’inizio del ‘900 ampie regioni del mondo erano totalmente inesplorate, e tra queste vi era l’immensa foresta amazzonica, ancora pressoché integra. La Gran Bretagna estendeva il suo impero coloniale in plaghe esotiche, da cui giungevano merci e notizie che avevano ancora un che di favoloso, e che ad un tempo giustificavano e occultavano agli occhi dell’opinione pubblica la brutalità dello sfruttamento delle risorse e delle popolazioni locali. Verso la fine del secolo precedente nella foresta venezuelana erano stati scoperti alcuni altipiani, chiamati localmente Tepui, nei quali l’isolamento aveva portato l’evoluzione a generare forme di vita peculiari, e proprio ai Tepui venezuelani si ispira Conan Doyle, documentandosi in maniera scientificamente rigorosa anche per descrivere le specie animali e vegetali incontrate dal professor Challenger e dai suoi compagni d’avventura.
Il romanzo di Conan Doyle si inserisce quindi in un filone letterario, quello dei romanzi di viaggi straordinari che ha il più noto esponente europeo in Jules Verne, e che è figlio diretto del positivismo ottocentesco. Questi romanzi assolvono un compito preciso: spiegare al popolo che sta vivendo nel migliore dei mondi possibili e nell’epoca più evoluta della storia dell’umanità, e che l’inarrestabile progresso scientifico e tecnologico porterà verso un mondo in cui tutti i problemi saranno risolti e tutti staranno bene. Per giungere a ciò la natura deve essere piegata ai voleri dell’uomo, che in quanto unico essere intelligente ha il diritto-dovere di espandere le sue conoscenze al fine di sfruttare a proprio vantaggio le risorse che la terra (e non solo la terra, nel caso di Verne) gli offre. Questo credo positivista può essere divulgato in forma didattica grazie alla crescente alfabetizzazione e alla nascente industria culturale, che permette di raggiungere strati sociali sempre più ampi.
C’è però, rispetto al parallelismo tra Verne e Conan Doyle, un problema: l’autore francese scrive la gran parte dei suoi più noti romanzi di viaggi straordinari tra il 1863 e il 1880, quindi in pieno ottocento, quando il positivismo era, oltre che ideologia dominante, anche se così si può dire senso comune. 'Il mondo perduto' appare come detto nel 1912: Verne è morto da ormai sette anni, ma soprattutto la cultura europea, rispecchiando la crisi dell’interessato ottimismo della società borghese nei confronti delle 'magnifiche sorti e progressive' dell’umanità, ha imboccato ben altre strade. Mancano solo due anni allo scoppio della prima guerra mondiale, che segnerà la fine definitiva delle illusioni progressiste. Come si colloca, quindi, in questo contesto sociale e culturale, un’opera come 'Il mondo perduto'? A mio avviso si colloca da un lato, dal punto di vista più strettamente culturale, in una posizione di retroguardia, essendo un’opera che non aderisce allo spirito dei tempi, ma si rifà ad un modello anche narrativo ormai superato dalla Storia; dall’altro, da un punto di vista dell’ideologia che esprime, aderisce perfettamente alla narrazione del mondo che le classi dominanti hanno interesse a perpetuare, essendo tale narrazione la base della legittimazione del loro potere. E questo interesse è ancora più forte in quel periodo, in cui tutto ormai sta crollando, in cui è necessario rispondere al crescente protagonismo sociale e politico delle masse e dei nuovi modelli di società di cui sono portatrici, in cui bisogna riaffermare la fede nei 'buoni valori borghesi' e nella loro capacità di condurre l’umanità verso un luminoso avvenire. Ecco quindi che Conan Doyle, pienamente organico ad una visione positivista come del resto aveva già dimostrato – sia pure con qualche sfumatura problematica – con il ciclo di Sherlock Holmes, sforna un romanzo, ed in seguito un breve ciclo, che del positivismo rassicurante fa la sua cifra essenziale, nel quale nulla traspare delle inquietudini dell’epoca, in questo associandosi ad altri autori di letteratura popolare, come ad esempio Bram Stoker, che solo un anno prima pubblica un romanzo come 'La tana del verme bianco', nel quale i canoni del genere gotico sono piegati ad una visione positivista della realtà. E proprio i parallelismi con l’ultimo Stoker non sono pochi, e a mio vedere neppure causali, a testimonianza di un progetto culturale comune. Entrambi i romanzi sono infatti frutto di accurate documentazioni (storiche in un caso, scientifiche nell’altro), con il preciso intento di conferire loro attendibilità, elemento essenziale per la loro legittimazione culturale; entrambi sono scritti con un linguaggio semplice e schematico ed entrambi vengono pubblicati su riviste a larghissima tiratura, perché possano assolvere al loro compito di acculturazione delle masse; entrambi, infine, si concludono significativamente con il risarcimento economico dei protagonisti, che al termine delle loro avventure si arricchiranno. Certo, il risultato squisitamente letterario delle due opere è profondamente diverso, essendo quella di Stoker, a differenza de 'Il mondo perduto', un romanzo brutto, ma è indubbio che queste due opere rispondano ad un preciso intento ideologico.
Nel quadro culturale così facilmente identificabile, grazie anche al suo schematismo, di questo romanzo, si inseriscono comunque alcuni elementi secondari che, se non ne mutano l’essenza, contribuiscono comunque a vivacizzarlo e a conferirgli una patina, seppure sbiadita, di sottile ironia. Il primo è la polemica contro la cultura accademica del tempo, che Conan Doyle descrive – sia pure con modalità molto lievi – come bigotta e superficiale, interessata alla polemica più che alla verità scientifica: il professor Challenger è un irregolare, lo sfidante il potere costituito dei circoli scientifici ufficiali, che sino in fondo si rifiuteranno di riconoscere le sue scoperte. L’altro elemento secondo me piacevolmente distonico rispetto allo schema di fondo del romanzo è rappresentato dalla storia nella storia del rapporto tra il narratore, il giovane Ned Malone, e la sua fidanzata Gladys. L’epilogo di questo rapporto, che è stato come detto la molla di tutta l’avventura, è una piccola chicca (forse l’unica contenuta nel romanzo), che lascio alla scoperta del lettore e che, se da un lato indubbiamente può ascriversi ad una certa misoginia di un autore nel quale l’universo maschile è assolutamente preponderante, dall’altro può anche essere letto come una garbata, molto garbata, satira dell’universo familiare altoborghese.
Prima di questo libro di Conan Doyle ho letto e recensito alcuni racconti di Mary Cholmondeley, autrice di genere contemporanea del nostro, notando come fosse ingiustamente misconosciuta. Confrontando la qualità intrinseca dei due autori, almeno come emerge da queste mie letture, non posso che constatare come a volte la fama, anche quella postuma di opere ed autori, a causa dei meccanismi della trasmissione culturale guidata e mediata dalle logiche di mercato, possa prescindere dalla loro qualità intrinseca, come del resto si premura di ricordarci ogni giorno l’odierna industria culturale, della quale le opere che assolvono oggi le stesse funzioni di romanzi come 'Il mondo perduto' costituiscono la quasi esclusiva ragion d’essere

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02 Marzo, 2017
Ultimo aggiornamento:
02 Marzo, 2017
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Ciao Vittorio, condivido quanto dici e la valutazione nel dettaglio. Come sempre, esaustivo e interessante commento.
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