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Disperso e...incompiuto
Un giovane sedicenne, Karl Rossmann, viene esiliato dai genitori in America perché sedotto nella patria boema, a Praga precisamente, da una domestica che è rimasta incinta. Quando il giovanotto giunge in America , prima ancora di sbarcare, perde ombrello e valigia, trova casualmente uno zio benefattore e dopo un inizio rocambolesco pare ben avviato verso il suo obiettivo: farsi una posizione. Successive peripezie lo distolgono e passando per diverse esperienze si ritrova alla mercé di due mascalzoni ben accompagnati poi da una sorta di donna cannone. Non si conosce il finale e il romanzo incompiuto lascia il giovane in una indeterminatezza che ben gli si confà.
È il primo romanzo dello scrittore praghese, nasce però in concomitanza con il suo periodo più creativo che ci ha consegnato “Il processo” , “La metamorfosi” e il racconto“Nella colonia penale”, e dunque osserva , nell'introduzione dell’edizione Newton da me letta, Italo Alighiero Chiusano, si è in errore quando lo si ritiene un “frutto primaticcio e preludiale”. In effetti il romanzo fa respirare le tipiche atmosfere kafkiane: spazi claustrofobici, il perdersi, la concezione dello spazio come prigione, luogo labirintico angoscioso e angosciante, il subire situazioni paradossali che nel momento in cui vengono accettate subito godono di pieno diritto di esistenza e fuoriescono dalla zona di impossibilità assurda dalla quale nascono . Vi è inoltre una discreta rappresentazione critica dell’America, luogo disumanizzante, alienante, teso al progresso, schiacciato dal suo peso e penosamente e in maniera ridicola democratico ( bella la descrizione dei comizi elettorali in strada e delle baruffe dei candidati avversari). Interessanti i riferimenti continui a scioperi e diritti dei lavoratori contrapposti alla rappresentazione del ceto dei politici (lo zio) e dei privilegiati ( i suoi amici), grottesco e vivido il brulicare dell’Hotel Occidental dove i turni dei lavoratori sono massacranti. Colpisce il disincanto del protagonista, l’ingenuità, la passiva rassegnazione: quando lo scatto di ribellione si fa più teso ha già inevitabilmente perso l’occasione. Da più di un ventennio non leggevo Kafka e devo dire che , pur non essendo questo un capolavoro, questa prima lettura di “America” si è rivelata pur sempre un gradito ritrovarsi tra le pagine di uno scrittore che a vent’anni esercitava su di me un fascino che evidentemente dura nel tempo.
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Commenti
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Sono incuriosito dalla qualità della traduzione, nell'edizione da te letta.
Fantastica definizione, da tempo cercavo una definizione soddisfacente dell'assurdo nei racconti di Kafka e questa è perfetta! Ottimo commento, molto utile, grazie.
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Bel commento. In alcuni casi le opere incompiute emanano secondo me un fascino particolare, dato dal fatto che ciascuno può completarle in base alla propria sensibilità od "accontentarsi" di quanto gli ha comunicato l'autore. America, letto tanto tempo fa, mi lasciò proprio questa sensazione.