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Un'aura di solitudine morale
Meursault, indolente impiegato francese in terra algerina, rappresenta la precisa identikit dell'uomo che affronta la vita lasciandosi trascinare dalle circostanze, incapace di prendere decisioni, di opporsi agli eventi, di abbandonarsi alle sensazioni. Freddo, abulico, pigro, il protagonista si muove con l'indifferenza dello straniero capitato per caso in un posto noioso e insignificante, impermeabile alle emozioni e capace di rispondere soltanto ad istinti primordiali come la fame, la sete, il desiderio carnale. La morte della madre lo lascia impassibile. La possibilità di fare carriera non sembra smuoverlo. Accetta, senza alcun entusiasmo, la proposta di matrimonio di Marie, la donna con cui ha intrecciato una blanda relazione. Subisce passivamente l'amicizia di Raymond, dal quale si fa coinvolgere, come un automa, in una torbida storia di tradimento e vendetta che lo porterà alla rovina. Meursault uccide un uomo, un arabo, senza una reale ragione (se mai ce ne fosse una per ammazzare una persona) e subisce le conseguenze di questo gesto con la consueta arrendevolezza, con la solita accidia, con quel suo comportarsi da spettatore inerte e disinteressato anche davanti a ciò che lo riguarda da vicino. Perché Meursault è questo, uno spettatore che osserva la propria vita invece di viverla, un burattino inerte che si lascia comandare da fili invisibili, una voce narrante che racconta la sua rovina con la freddezza e il distacco di un cronista annoiato. Un sole soffocante pervade l'intera storia creando una cappa opprimente di calore e abbagliando gli occhi e le menti con i suoi raggi implacabili. Un mondo ipocrita, una società guardona, una giustizia inefficiente sembrano disinteressarsi al delitto e puntare invece il dito sul modo di essere dell'imputato. Un’aura di cupa tristezza, di solitudine morale, di nichilismo aleggia su un racconto scandito da una prosa essenziale, secca, scarna, che rappresenta in pieno il modo di pensare, di agire, di vivere del protagonista. Un protagonista che non incontra cerco i favori del lettore, ma al quale tuttavia quest'ultimo non può fare a meno di affezionarsi finendo, se non con il condividerne il pensiero, per lo meno con il comprenderlo e con l'immedesimarsi in lui. Un personaggio che può apparire discutibile ma che rappresenta in pieno il pensiero esistenzialista, la teoria dell'assurdo, la tragica alienazione che caratterizzano le opere di Camus. Un uomo che si arrende alla vita ma che fino all'ultimo respiro resta coerente con sé stesso, con le sue idee, con la propria dignità, che anzi proprio quando queste vengono messe in discussione sembra finalmente avere una reazione, sembra svegliarsi, ribellarsi, vivere. "Aveva l'aria così sicura vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era nemmeno sicuro di essere in vita dato che viveva come un morto. Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me".
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La teoria dell'assurdo: un modo di coniugare il mondo alla rovescia. Quello che succede in quest'opera dolente e preziosa.
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