Dettagli Recensione
C'erano una volta...
Vi piacciono le storie?
Ebbene, se le storie vi piacciono e vi affascinano ancora, come da bambini, quando al calar della sera attendevate con bramosia il racconto delle gesta dei vostri eroi e degli intrighi dei malvagi nemici… Signori, lasciate che sia Alexandre Dumas il vostro narratore, perché pochi altri potranno tessere con altrettanta maestria gli arazzi che riempiono le segrete stanze dell’immaginario.
“Vent’anni dopo” è il seguito di una storia stupenda, quella de “I tre moschettieri”.
“Vent’anni dopo” è un racconto di una prodigiosa longevità, che contro ogni diffidente aspettativa, dà fiato alle ceneri di un romanzo affascinante destandone vivaci fiamme che riscaldano i cuori sempre avidi d’avventura.
Carichi d’emozione nel ritrovare i prodi D’Artagnan, Athos, Porthos ed Aramis, il cui commiato ci aveva lasciato una leggera amarezza, torniamo ad immergerci senza possibilità d’appello nelle avvincenti vicende che seguono di vent’anni l’epilogo del fortunatissimo incipit della storia.
Il temibile ed altero Richelieu lascia il rosso talare al gretto Mazarino, la Regina accudisce il piccolo Re Luigi XIV già avvezzo alla maestà che gli è di ruolo, grandi eventi scompigliano le carte sulla tavola che ci si era tanto minuziosamente ordinata: solide amicizie sono messe alla prova da schieramenti per fazioni opposte, vecchi dissidi fanno spazio a sincere amicizie, fantasmi del passato tornano ad aleggiare, radiose albe rischiarano profonde oscurità.
Benché sia la narrazione ad essere sovrana di questo romanzo, costellato di dialoghi e dotato di un ritmo sostenuto, Dumas non è mai superficiale, perciò non mancano alcune brevi riflessioni a inframezzare l’azione di tanto in tanto. “Il mondo esteriore è come collegato da un misterioso filo conduttore alle fibre della memoria, e talvolta le risveglia nostro malgrado; una volta messo in azione, quel filo come il filo d’Arianna, conduce in un labirinto di pensieri dove ci si smarrisce a seguire quell’ombra del passato che si chiama ricordo.”
I personaggi, sia quelli ben noti dall’antecedente capitolo che quelli di nuova conoscenza, sono abbastanza tipizzati e non è nell’interesse principale dell’autore quello di fornire un percorso formativo in cui le figure mutino drasticamente sotto gli effetti dell’evolvere degli eventi. Frequenti e ben curate sono le presentazioni dirette dei caratteri, mentre i Moschettieri, nelle loro condotte così come nei pensieri, tengono fede ai loro ritratti ben delineati fin dal primo romanzo.
Inoltre, pregevole è l’intreccio, fatto di alternanze e incastri che rendono ancor più magnetico il dipanarsi della trama. Lo stile, agile, elegante ed al contempo brioso e vibrante, in pochi sapienti tratti restituisce luci e colori vividi alle forme, alle atmosfere ed agli stati d’animo, come nelle opere dei migliori impressionisti, senza mai sottrarre il tempo né la scena all’azione.
(Ottima la traduzione di Giuseppe Aventi)
Non senza storcere appena il naso, lungo il testo, si incontra una relativa uniformità di registro linguistico (non nuova) che pare poco naturale al passare dalla bocca di una regina a quella di un carceriere, da quella di un moschettiere a quella di un cardinale, da quella di un nobile a quella di un garzone. A titolo d’esempio, nulla a che vedere con i vertiginosi salti carpiati del collettivo Wu Ming ne “L’armata degli Incredibili”, magistrale nel dar voci diverse ai personaggi in accordo con l’estrazione sociale e non solo. Sorvolando però su questa piccola inezia, che mi azzardo a sottolineare per trovare una pecca ad un lavoro altrimenti fin troppo grandioso, oltre 800 pagine di racconto scorrono sorprendentemente senza alcuna fatica: di questi moschettieri nonostante gli anni trascorsi non se ne ha mai abbastanza!
Se, come da bambini,
al calar della sera, le storie vi affascinano ancora,
lasciate che Dumas sia il vostro narratore.