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E nessuno ne restò
E’ piuttosto curioso che proprio il romanzo più famoso della celebre regina del giallo sia probabilmente quello che più si discosta dai meccanismi tipici della tradizione del genere. Agatha Christie sembra farsi beffe del lettore, sovvertendo regole e aspettative, per dare vita ad un rompicapo geniale. Tutti gli elementi narrativi, i personaggi, l’ambientazione, forse anche il movente del delitto, sfumano e passano in secondo piano perché protagonista assoluto è l’enigma, una sfida all’abilità intellettiva del lettore, continuamente chiamato a ricercare una nuova combinazione che renda spiegabile l’apparentemente impossibile.
Dieci persone sconosciute, diverse per condizione sociale e provenienza, si ritrovano a trascorrere il fine settimana su un’isola privata al largo delle coste del Devon, Nigger Island, invitate da un misterioso anfitrione. Ad accoglierli invece troveranno una voce registrata su un grammofono a ricordare le colpe di cui si sono macchiati nel loro passato, una tavola imbandita ornata da dieci piccole statuine e una filastrocca a decorare le loro stanze: “Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar; uno fece indigestione, solo nove ne restar…”. E dopo la prima morte per avvelenamento, osservando la prima statuina caduta, ognuno capirà all’improvviso di essere un “povero negretto” finito in una trappola mortale ordita da fili invisibili. Una trappola senza possibilità di scampo, perché alla fine della filastrocca “nessuno ne restò”.
Pur basandosi sul tema classico di un gruppo di persone chiuse in uno spazio ristretto e inaccessibile, tra cui si nasconde un misterioso assassino, la trama si avvale di molti elementi innovativi. Innanzitutto la mancanza di un investigatore o un eroe positivo a cui affidarsi per la risoluzione del mistero: tutti i personaggi sono vittime e colpevoli, biglie che scivolano lungo un percorso già tracciato, scandito dal ritmo inesorabile della filastrocca, l’agghiacciante indovinello che minaccia di morte ogni personaggio. Un giallo senza salvezza e dalla trama già scritta sembra quasi un paradosso, ma è proprio questo che rende l’opera estremamente originale. L’investigazione logica e razionale, cifra stilistica di quest’autrice, si arricchisce di qualcosa di nuovo rispetto alla sua produzione giallistica: un’atmosfera cupa e quasi soffocante, un senso di tensione capace di mozzare il fiato e una componente favolistica e quasi surreale, legata all’improbabilità della vicenda e richiamata dalla ricorrente cantilena infantile. Una miscela capace di affascinare e sorprendere il lettore, nel 1939 come oggi.
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Commenti
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Sono curiosissima di leggere l'opinione di una lettrice acuta e competente come te!
Ciao, Manu
Grazie per avermi letto e per il tuo commento!
Ciao.
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