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Embrione di suffragetta
Nei romanzi dell’Ottocento inglese speranze giovanili, sospiri romantici o trame speculative ruotano sempre intorno a quel momento fatidico in cui il tanto anelato o detestato giovane, più o meno affascinante, intelligente o virtuoso, finalmente chiede la mano dell’eroina di turno. E dopo, che succede?
Anne Brontë decide di andare oltre il giorno del coronamento del sogno d’amore ed entrare, con grande realismo, nella quotidianità del matrimonio. Quando le ingenue illusioni, coltivate a suon di sguardi e sospiri durante il corteggiamento, lasciano spazio alla realtà. Quando cade la cortina di fascino esteriore e brillante simpatia, rivelando l’egoismo, il vizio, l’autoindulgenza. E una donna finisce per ritrovarsi imprigionata in una vita coniugale infelice, di sopportazione, se non umiliazione, senza possibilità di scampo.
Davvero moderna e sorprendente, in un romanzo del 1848, la scelta di raccontare la condizione di minorità della donna nella società vittoriana, in cui la rispettabilità sociale e una certa libertà individuale potevano essere garantite solo attraverso la protezione del matrimonio. Ma la protagonista in questo caso non è solo una donna vittima delle convenzioni sociali, è anche una donna che non si rassegna, che si aggrappa con coraggio ai propri valori e alla propria forza interiore per andare avanti e combattere per una vita diversa.
Particolarmente originale, inoltre, la soluzione narrativa composta dall’innesto di un diario, in cui la protagonista dà voce alla propria condizione e alla propria sofferenza, all’interno di un romanzo epistolare in cui un giovane gentiluomo racconta di questa figura femminile, affascinante e misteriosa, con lo sguardo esterno che permea i sospetti, i pettegolezzi e i pensieri della società.
Come nel precedente lavoro, “Agnes Grey”, anche in questo caso l’elemento a mio avviso meno efficace della narrazione è la mancanza della componente emotiva. Nella protagonista osserviamo una dignità austera e inflessibile, in cui le passioni e le sofferenze sono sempre filtrate attraverso la ragione e la religione, perdendo forse un po’ di quell’umanità che avrebbe maggiormente coinvolto il lettore. Ciononostante, non posso fare a meno di riconoscere la straordinaria capacità dimostrata dall’autrice nel descrivere, con occhio impietoso e a tratti crudo, i vincoli che imprigionano la donna, i vizi e la pigrizia di certi uomini, le maliziose e pettegole trame di una società corrotta, ricordandoci però allo stesso tempo che, oltre a tutto questo, vi sono le scelte individuali con cui ognuno, anche una donna, può diventare artefice del proprio destino.
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Commenti
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Fa davvero piacere l'apprezzamento e, sì, anche sapere di aver portato un pizzico di curiosità su questo genere. E' forse quello con cui ho iniziato ad amare la lettura.
(Scusa il ritardo della risposta, la vedo solo ora)
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Ammetto di non essere un lettore entusiasta del genere,
eppure (e forse ancor maggiore è il tuo merito per questo) sono rimasto catturato dalle tue parole,
che fin dall'incipit danno spazio con eleganza agli aspetti caratteristici ed essenziali del testo,
evitando passaggi elusivi che risulterebbero oscuri ai non conoscitori del romanzo.