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Le mie notti finirono un mattino...
Sono sempre in grande difficoltà di fronte a libri come questo, indegna anche solo di scrivere due righe, perché su "Le notti bianche" sarà già stato detto tutto (e sicuramente meglio di quanto possa fare io).
Ma, allo stesso tempo, come far tacere questo fiume di sensazioni che mi si agita dentro?
Come ignorare lo struggimento che provo in questo momento?
Ho la testa piena di domande, dubbi...e il cuore denso di emozioni a cui dare un nome.
Possono davvero 4 notti riempire la vita di un uomo abituato a vivere soltanto dei suoi sogni?
Ma, soprattutto, mi chiedo...cosa sia meglio?
Una vita di solitudine popolata da sole fantasie o una vita vissuta percorrendo e ripercorrendo pochi momenti reali, ma dal forte sapore amaro?
Non porta forse all'autodistruzione tutto questo?
"Sarà triste restare da solo, completamente da solo, e non avere nemmeno cosa rimpiangere - niente, assolutamente niente...perché tutto ciò che ho perduto, tutto ciò, era tutto un niente, uno stupido tondo zero, era solo un sogno!"
Una San Pietroburgo notturna e suggestiva, una panchina che ha assistito ed accolto parole d'amore, lacrime, mani dentro mani e promesse non mantenute, hanno contribuito a farmi vivere "dentro" queste pagine, ad amare l'amore di lui, così imploso eppure così totale, e a biasimare lei, così confusa, impaurita e dispensatrice involontaria (o forse no?) di illusioni.
"La mie notti finirono un mattino".
E con questa frase Dostoevskij uccide anche l'ultimo barlume di speranza di un sognatore, destinato a farsi bastare per sempre un solo minuto di non amore, ed essere anche grato a colei che il di lui amore non ha saputo amare.