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Alle sorgenti del mito
Il mito di Faust è forse il più importante topos della cultura tedesca, e ad esso si sono ispirate, nel corso dei secoli, alcune delle opere letterarie – e non solo – dell’intera Europa. Da The Tragical History of Doctor Faustus di Marlowe, composto ancora nel XVI secolo, sino al Doktor Faustus di Thomas Mann (1947) ed oltre, passando ovviamente per il Faust goethiano e per Il maestro e Margherita di Bulgakov, sono decine i romanzi, i testi teatrali, gli scritti poetici, le opere musicali che riprendono la storia dell’uomo che strinse il patto con il diavolo per acquisire la conoscenza. Il perché di tanto successo è facilmente intuibile: il rapporto tra scienza e morale, il tema della libera volontà umana contrapposta ai limiti a questa imposti dagli ordinamenti sociali di ordine religioso e politico, l’angoscia dell’uomo di fonte ai propri limiti esistenziali ed intellettuali, tutti temi che fondano il mito, sono altrettanti spunti attorno ai quali hanno riflettuto, dai diversi punti di vista dati dalle loro condizioni materiali e avvalendosi di diversi strumenti interpretativi, gli intellettuali della modernità e della contemporaneità occidentale, essendo strettamente connessi all’organizzazione sociale come si è venuta sviluppando dalla fine del medioevo in poi.
Quello di Faust è infatti un mito moderno, anzi si potrebbe forse dire che è Il mito per antonomasia della modernità, della società borghese, per gli interrogativi che a questa pone. Faust come personaggio storico – tale Georg (o Johann) Faust, mediocre alchimista e negromante – visse infatti tra il 1480 e il 1540 circa in Germania: di lui non si sa molto, se non che per le sue arti fu spesso scacciato dalle città in cui si trovava. Probabilmente era uno dei tanti scienziati popolari dell’epoca che tiravano avanti vendendo ai potenti e ai meno potenti conoscenze chimiche, fisiche ed astronomiche più o meno approssimative, che venivano spacciate per stregoneria e occultismo. I primi decenni del ‘500 non sono però in Germania decenni qualunque: sono quelli dell’affermazione – anche cruenta – della riforma luterana. Il patto tra Lutero e i principi tedeschi, attraverso il quale viene brutalmente repressa la guerra dei contadini di Thomas Müntzer (1525), sancisce l’organicità della riforma al mantenimento dello status quo economico e politico: il nuovo ordine necessita anche di strumenti culturali per diffondere le idee della vera riforma tra le masse tentate da una visione egualitaria delle tesi luterane. Tra questi strumenti un ruolo peculiare giocarono i volksbucher, libretti a diffusione popolare (per l’epoca) molto usati per spiegare la riforma. Tra questi iniziò a circolare già pochi anni dopo la morte di Georg Faust un volumetto che raccontava la sua vita e i suoi prodigi come frutto di un patto stretto con il diavolo.
Il testo edito da Spies, che deriva da un precedente volsksbuch di cui si conserva il manoscritto, viene stampato nel 1587, e rappresenta il primo vero libro dedicato alla figura e al mito di Faust, l’archetipo cui si rifaranno direttamente sia Marlowe sia Goethe. Johann Spies ne è lo stampatore, e si limita ad apportare alcune modifiche piuttosto marginali al manoscritto edito pochi decenni prima.
La storia romanzata di Faust è nota: prima teologo, poi scienziato laico e negromante, il dottor Faust è ossessionato dal sapere, dallo spingere la sua conoscenza oltre i limiti umani. Evoca perciò il demonio, e gli appare Mefistofele, un diavolo di secondo ordine che è però autorizzato a soddisfare tutti i desideri di Faust a patto che questi abiuri il cristianesimo e sigli con il sangue un patto che consegni, al termine di 24 anni, la sua anima e il suo corpo al demonio. Faust accetta, convinto di poter recedere dal patto e comunque allettato dalla prospettiva di essere onnisciente ed onnipotente per così lungo tempo. Il tempo trascorre e Faust, dotato di poteri e conoscenze straordinari, viaggia in tutto il mondo, vede il paradiso e l’inferno, comprende l’organizzazione del firmamento e il moto dei pianeti, è ricevuto nelle corti di re e imperatori dei quali soddisfa i desideri, non si fa mancare ovviamente le più belle donne del mondo, amando anche Elena di Troia da cui avrà un figlio, organizza scherzi e beffe ai danni tanto di contadini quanto dell’odiato papa romano.
All’approssimarsi della scadenza del patto, resosi conto della sua irreversibilità, Faust si pente e rivolge un accorato appello ai suoi amici a non lasciarsi tentare dalla smania di conoscenza e potere, quindi – accomiatatosi invero con grande dignità dalla vita – va incontro al suo destino di corpo straziato ed anima dannata per l’eternità.
Se come detto il mito di Faust sarà foriero nel corso dei secoli di rielaborazioni da parte dei più grandi artisti, per la sua complessità e per le implicazioni di cui è intriso, questo suo esordio è caratterizzato nettamente dalla sua funzione didattica, di insegnamento per il popolo della riforma.
Questa funzione didattica si riscontra non solo nella morale della vicenda, su cui ovviamente tornerò, ma anche nella struttura stessa del libro e nel susseguirsi delle avventure faustiane narrate.
Il libro, che si compone di 69 brevi capitoli, alcuni di neppure mezza pagina, è strutturato secondo un intento talmente didattico da potersi definire quasi manualistico. Si compone infatti di quattro parti: la prima dedicata al patto con il diavolo e all’esposizione, sotto forma di dialoghi tra Faust e Mefistofele, dei reciproci impegni, di chi sia il demonio e di cosa sia l’inferno; nella seconda parte i viaggi e le avventure di Faust servono da pretesto per fornire al lettore precise conoscenze (ovviamente rapportate all’epoca) di geografia, astronomia, astrologia, demonologia, alchimia etc.; la terza parte raccoglie prevalentemente beffe e scherzi giocati da Faust a vari soggetti, ed in molti casi presenta, contestualizzandole, storie e dicerie popolari; nella quarta ed ultima parte viene proposto il compimento del dramma di Faust con tutte le considerazioni morali del caso. Come detto, il libro di Spies deriva direttamente da un volksbuch, conservandone appieno, anche strutturalmente, la funzione divulgativa, del resto pienamente aderente a quella dell’edizione stampata. Illuminante, a questo proposito, l’episodio della visita di Faust in Vaticano, dove incontra un papa ed una corte dedite a mangiare e a vivere nell’ozio e nel lusso, secondo la più scontata vulgata luterana.
Quanto alla morale complessiva quella che balza più agli occhi è l’ovvia indicazione che l’uomo non può trascendere i suoi limiti se non andando oltre, infrangendo la volontà divina che lo vuole confinato entro i confini dell’imperscrutabile. Al pari di quanto successe ai progenitori nell’Eden, il prezzo della conoscenza è la dannazione, è la rottura del patto con dio. Rilevo però una sottile contraddizione rispetto a questa tesi, che pure domina il libro a partire dalla programmatica e fondamentale Prefazione al lettore cristiano. In realtà le conoscenze di Faust, che egli ottiene dannandosi, sono esposte al lettore, vengono messe a sua disposizione nel libro, quasi a volerci dire che la dannazione, l’uscita dal seminato portano comunque ad un avanzamento delle conoscenze di cui l’umanità può beneficiare. Questa contraddizione, che è a mio avviso il cuore del mito di Faust, rappresenta l’elemento di congiunzione tra l’aspetto medievale del Faust di Spies e la sua modernità, e può essere indubbiamente indicato come l’aggancio che ha reso possibile la rielaborazione del mito nei secoli successivi.
Vi è poi un’altra morale sottesa alla vicenda di Faust, a mio avviso tipicamente luterana e protestante. Faust stringe il patto con il diavolo all’inizio del racconto: periodicamente gli sorgono dubbi ed angosce per ciò che ha fatto, e cerca una via d’uscita, cerca di rompere il patto e di ritornare ad essere un buon cristiano. Ciò però, secondo la concezione luterana di dio e del rapporto uomo-dio, è impossibile: non esiste perdono, non è possibile recuperare la fede, dio è inflessibile con chi lo ha rinnegato indipendentemente dal suo comportamento successivo, così come dio riconosce la grazia e la salvezza per sola fide, secondo uno dei dogmi della riforma, che tanta parte ha avuto nel modellare la società capitalistica occidentale come ancora oggi la conosciamo.
Leggendo il libro di Spies si risale quindi alle radici di uno dei miti che più ha permeato l’espressione artistica moderna, e si entra appieno nell’atmosfera drammatica che caratterizza il primo secolo della riforma luterana in Germania. La funzione didattica del libro, la necessità che venisse letto da molti, ne fanno però anche un libro leggero e piacevole, pur se ovviamente sconta anche strutturalmente il fatto di essere stato scritto oltre 400 anni fa. Suggerisco, a chi volesse approfondire l’evoluzione del mito di Faust, una lettura tematica che comprenda, nell’ordine, Spies, Marlowe, Goethe, Bulgakov, Mann: sarebbe un viaggio letterario fantastico, dalle sorgenti alla foce di un fiume a tratti sotterraneo che attraversa tutti i territori della letteratura moderna, e che lascia spesso sulle loro rive frammenti e detriti di cui è difficile stabilire la provenienza ma che possono essere riutilizzati per nuove, imponenti costruzioni.
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