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Le regole del gioco
Ingenuo, appassionato, onesto, generoso, carico di ideali romantici e di sogni di gloria, Fabrizio del Dongo, appartenente ad una nobile e antica famiglia della Lombardia, ha soltanto diciassette anni quando decide di scappare di casa per unirsi a Napoleone, che è in procinto di combattere la battaglia di Waterloo. Ancora non sa che questa decisione cambierà la sua vita. Ansioso di lottare al fianco del suo eroe, Fabrizio riuscirà appena ad intravedere la battaglia prima di essere ferito e dover rientrare in Italia. Denunciato alle autorità dal suo stesso fratello, è costretto prima all’esilio, poi, a Parma, a intraprendere la carriera ecclesiastica sotto la protezione della zia, la duchessa di Sanseverina. Bellissima, intelligente, affascinante, vero e proprio astro di corte nel piccolo regno assoluto del principato di Parma, amante del primo ministro del sovrano - Ranuccio Ernesto IV Farnese – e legata al nipote da sentimenti ambigui che oscillano tra l’affetto e l’amore, la duchessa dispiega tutte le armi in suo potere per favorire Fabrizio.
Fra intrighi di corte, giochi di potere, passioni, gelosie, avvelenamenti, inganni, si dipanano le avventure talvolta rocambolesche del “nostro eroe”, come Stendhal chiama spesso il suo Fabrizio, ispirato ad un personaggio realmente esistito. Nel 1838, infatti, Stendhal, console francese negli stati pontifici, ritrova a Civitavecchia la copia di un manoscritto del Cinquecento, "Origine della grandezza della famiglia Farnese", dedicato alla figura di Alessandro Farnese, che nel Quattrocento divenne papa dopo una giovinezza dissoluta e avventurosa. Da qui nasce Fabrizio del Dongo, che dovrebbe essere “il nostro eroe” e che invece, con le sue rocambolesche avventure, distrugge dall’interno il paradigma dell’eroe cavalleresco, alla ricerca continua di gloria, amore, felicità, identità, una ricerca destinata a restare insoddisfatta. La gloria militare, tanto ansiosamente e ingenuamente inseguita sui campi di Waterloo, si rivela un mito irraggiungibile nelle pagine con cui Stendhal fornisce alla tarda modernità il paradigma della non visibilità, non comprensibilità e non narrabilità degli eventi bellici. L’amore, rincorso attraverso avventure brevi e leggere, non è che una promessa illusoria, e anche dopo l’incontro con la bella figlia del governatore della cittadella di Parma, Clelia Conti, che finalmente suscita in Fabrizio sentimenti autentici, il suo sogno di felicità stenta a realizzarsi. Perfino la ricerca di un’identità stabile sembra essere vana per Fabrizio, prima giovane aristocratico, poi aspirante soldato, poi a un passo dal prendere i voti.
A cominciare da quella battaglia di Waterloo di cui il giovane e inesperto soldato vede soltanto i cadaveri delle vittime e il fumo della polvere da sparo, l’incomprensibilità del mondo che lo circonda ostacola la ricerca del giovane protagonista, letteralmente “avviluppato”, per usare un’espressione hegeliana, in una realtà storica confusa e in perenne movimento, eppure capace di determinare e sconvolgere l’esistenza dell’individuo. La parabola esistenziale di Stendhal, che ha solo sei anni quando scoppia la Rivoluzione francese, segue quella di Napoleone Bonaparte: prima soldato nelle campagne napoleoniche, poi entra nell’amministrazione dell’esercito, infine cade in disgrazia insieme a Napoleone. Egli sa bene, dunque, che la storia è una forza travolgente alla quale il singolo non può opporsi, neanche quando, ormai esauritisi gli slanci dell’età rivoluzionaria e napoleonica, la storia degenera nei piccoli e meschini intrighi di politici, ministri e cortigiani. Alla fine del romanzo Fabrizio, come la duchessa di Sanseverina, dovrà accettare l’impossibilità di sottrarsi ai meccanismi di un potere malato, in un mondo, quello della Restaurazione, in cui l’autore stesso non ha più un posto. I protagonisti si ritireranno nella solitudine e nel silenzio, rappresentati da quella Certosa di Parma che appare soltanto nell’ultima pagina del romanzo e verso la quale la narrazione sembra precipitare inesorabilmente.
In questo romanzo l’interesse per la storia si unisce ad un profondo amore per l’Italia, che appare a Stendhal un paese non ancora pienamente civilizzato, luogo di passioni e desideri primitivi e indomabili, misteri, intrighi, omicidi e vicende storiche dal sapore romanzesco. Il principato di Parma descritto da Stendhal non è mai esistito nella realtà e appare fuori dal tempo, frutto di numerosi incroci e contaminazioni tra l’Italia rinascimentale e quella contemporanea, tra la “vera” Parma, Roma e Bologna. Ma la degenerazione del potere diventato “un gioco” di cui bisogna seguire le regole, la viltà, la crudeltà, la corruzione, la meschina ricerca di inutili onori, riflettono perfettamente l’età della Restaurazione e non solo: questi meccanismi sono in realtà fuori dal tempo, proprio come la Parma “inventata” da Stendhal, appartengono ad ogni età e dunque anche alla nostra. Pur essendo un romanzo storico sui generis, "La Certosa" si configura come un’opera capace di parlare al lettore di ogni epoca e lo stile elegante, nitido, incalzante e ricco di ironia contribuisce a renderlo un romanzo di straordinaria modernità. Se le regole della politica non cambiano mai, come quelle di un gioco, la piccola corte di Parma diventa uno specchio dell’umanità di ogni epoca. E poi, una volta che ci si è abituati alle regole, per quanto assurde, ridicole o sbagliate possano essere, "giocare è divertente", afferma la spregiudicata duchessa di Sanseverina. Purchè si vinca e si continui a vincere, certo.