Dettagli Recensione
Ironico e perforante
“La fiera della Vanità” di William M. Thackeray è comparso sulla scena della società inglese ottocentesca per la prima volta attraverso la pubblicazione di venti puntate mensili tra il 1847 e il 1848, per essere poi presentato come un’unica opera nel 1848.
Lo sguardo critico, ironico e perforante dello scrittore, che è celato, nonostante la prorompente presenza del narratore-autore, tra le vicissitudini dei suoi personaggi, rivela un racconto che si discosta dal tradizionale romanzo ottocentesco inglese, pur intessendo con esso una fitta rete di legame ed intrecci.
L’intervento dello scrittore, ad una prima lettura, può sfuggire per un lettore che si approcci a tale romanzo con l’unico intento di lasciarsi dilettare da un nugolo di peripezie.
Solo nella prefazione del suo capolavoro lo scrittore chiarisce con un discorso enigmatico e ricco di metafore come, attraverso un capovolgimento dell’ottica ottocentesca a cui i romanzi inglesi contemporanei hanno abituato il pubblico, la fiera non sia altro che un incontro di sentimenti, alcuni meschini e pochi virtuosi.
Grazie alla sua abilità linguistica e scenica Thackeray incanta e avvolge il suo pubblico con uno stile incalzante e un linguaggio forbito, impreziosendo il suo spettacolo con citazioni colte e riferimenti storici, tanto da rendere viva e immediata la rappresentazione dei suoi drammi e le sensazioni che ne derivano nei protagonisti; ma è anche uno spettacolo teatrale in cui i protagonisti stessi, coloro che danno vita ad una fiera di piaceri e malinconie, non sono altro che marionette nelle mani del loro conduttore.
Il ruolo che si prefigge di assumere lo scrittore, quindi, è quello di narratore onnisciente e onnipresente per i suoi personaggi, e di guida, per il suo pubblico, alla riflessione e alla lettura di quello che si presenta come un perfetto ritratto della società inglese.
Ciò permette di inquadrare “La fiera della vanità” all’interno della categoria dei romanzi storici, non solo perché Thackeray situa la sua storia nel primo ventennio del XIX secolo, descrivendo con minuzia di particolare tutti i rivolgimenti storici che hanno interessato e sconvolto la società di quel tempo, ma soprattutto perché egli riporta tra le sue pagine elementi della realtà, prelevati dalla tradizione e adattati ai canoni ottocenteschi: ne deriva uno specchio in cui si riflettono i vizi e le poche virtù di personaggi avidi e meschini, pomposi e bramosi di ricchezza e di successo.
La storia si snoda attorno alla carriera di due giovani donne e amiche, le quali lasciano sulla stessa carrozza l’istituto femminile di Chiswick della signorina Pinkerton, che fino a quel momento le ha accolte e istruite. Le due protagoniste non potrebbero essere più diverse tra loro: Amelia Sedley, appartenente ad una ricca famiglia borghese, è dolce, fedele, remissiva e un po’ sciocca; Rebecca Sharp, orfana di entrambi i genitori e povera, è intelligente, astuta ed egoista.
Travolte da tormentati corteggiamenti amorosi le due ragazze affrontano diversamente gli ostacoli che la vita, o lo scrittore, pone loro davanti fino a giungere nello stesso anno ad un’unione matrimoniale, il cui destino sembra essere simile per le opposizioni e le difficoltà che entrambe hanno dovuto superare.
Pur essendo diversi i sentimenti che guidano le due “eroine”, le loro sorti proseguono lungo questo ventennio attraverso due percorsi paralleli, che più volte le porta ad intrecciarsi in un turbinio di passioni, risentimenti, sofferenze e vendette, di cui saranno protagonisti anche gli altri innumerevoli e sfaccettati personaggi di questa fiera multicolore.
Sul palcoscenico della vita lo scrittore fa muovere le sue marionette con un tale realismo da coinvolgere il lettore stesso in questo vortice di emozioni, portandolo ad odiare o a ad amare uno stesso personaggio, impedendo, come ultimo obiettivo del suo rovesciamento dei canoni ottocenteschi, l’individuazione di un eroe del romanzo.
Il romanzo senza eroe individua un possibile eroe o eroina in ognuno dei suoi tanti personaggi così eterogenei, imperfetti ed umani, i quali si identificano non come eroi del romanzo, che guarda sempre al modello dell’antenato Robinson Crusoe, ma come eroi della vita.
E’ impossibile,infatti, non subire il fascino dell’ammaliante Becky Sharp, la quale vittima, strumento e vincitrice della vanità, riesce ad affermare se stessa in cima ad una realtà che l’ha sempre relegata tra i più indegni; armata di intraprendenza, di un linguaggio audace e della capacità di eccellere in ogni arte, ella gioca con tutti i personaggi della fiera, intrappolandoli in una tela di inganni e nefandezze, entrando lei stessa a far parte di un meccanismo che la travolge inesorabilmente, rendendola ora schiava ora vittoriosa, in un movimento altalenante e fuori dal suo controllo.
Allo stesso modo l’indole gentile e premurosa, pur sottomessa e obbediente, della timida Amelia Sedley fa breccia nel cuore del lettore, che vede in lei l’unica anima pura travolta da questa realtà fatta di apparenze e meschinità. Tuttavia, eclissata da Becky nelle apparizioni pubbliche e in quelle private, nelle quali il marito la trascura per la ben più affascinante amica, consumata da un amore ossequioso per George Osborne e per questo perennemente sofferente e timorosa, la semplice e devota Amelia è ben lontana dall’essere lo spirito guida del romanzo.
Thacheray fa muovere abilmente i suoi personaggi, lascia che vengano biasimati o elogiati, diffondendo la sua indagine storico-sociale sui loro rapporti familiari, anch’essi influenzati dalle stesse convenzioni che irrigidiscono quelli sociali, sulle difficoltà di interazione tra un’aristocrazia conservatrice e dai valori immutabili e una più sovversiva, nascente borghesia .
E’ una fiera, quindi, in cui non mancano scompiglio e allegria, tensioni e commozioni, battaglie eroiche sul campo di battaglia e altre meno gloriose ad un lussuoso banchetto, ma nella quale, la natura più riflessiva non avvertirà disagio, perché lo spettacolo sarà brillantemente guidato dalla penna esperta dello scrittore.