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Un cuore cieco
“... ha mormorato che ero molto strambo, che certo lei mi amava a causa di questo, ma che forse un giorno le avrei fatto schifo per la stessa ragione”.
Né buono né cattivo, certamente non stupido ma senza particolari ambizioni, il protagonista di questo romanzo, tale Meursault (del nome di battesimo non si fa menzione), conduce un'esistenza tranquilla da impiegato di origini francesi ad Algeri, impermeabile a gioie e dolori mentre prende atto degli eventi con osservazione quasi scientifica.
Il caldo dell'estate africana lo fa sudare, i bagni al mare lo rinfrescano, il corpo di Marie, la donna con cui inizia una relazione, ne appaga gli appetiti sessuali, mangia quello che gli va, fuma molto e si lascia vivere.
Già dalle prime pagine, con l'annuncio della morte della madre e i successivi funerali, il lettore è sorpreso, eppure in qualche modo partecipe, della sua mancanza di dolore, che arriva con netta precisione, come il fastidio del sole cocente durante l'interminabile corteo funebre e il sollievo alla fine delle esequie, quando finalmente può tornarsene a casa a dormire.
Il profilo psicologico, tracciato impeccabilmente, è molto vicino a quello di uno psicopatico, ma la schietta noncuranza con cui Meursault espone il suo punto di vista (niente ha davvero importanza per lui, in definitiva) e quella sorta di incoscienza che caratterizza certe sue azioni rendono persino ridicolo puntargli il dito contro, anche quando si renderà colpevole di omicidio.
Più balordi di lui finiranno per sembrare non soltanto conoscenti e amici di dubbia moralità ma anche i giudici che ne decidono la sorte:
“Avrei voluto cercare di spiegargli con simpatia, quasi affettuosamente, che mai ero riuscito a provare un vero dispiacere per qualcosa”.
L'intento un po' provocatorio dello scrittore sembra essere quello di presentare un uomo in perfetta sintonia con la “dolce indifferenza” dell'universo, cullato da impulsi naturali ed estraneo ad ogni tipo di passione.
“Hai un cuore cieco”, gli verrà rimproverato nelle ultime pagine, le più intense, ma scuoterlo da questo stato di accomodamento interiore significa tirarne fuori la profonda, amara consapevolezza della nullità dell'esistenza, dove l'unico rifugio possibile, nell'attesa di una fine che cancella prima o poi per tutti il significato di ogni cosa, sono i piaceri semplici:
“...le gioie più povere e più tenaci: odori d'estate, il quartiere che amavo, un certo cielo di sera, il riso e gli abiti di Marie”.
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Ormai l'ho comprato : a questo punto, tenterò di leggerlo.
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L'ho acquistato di recente come lettura da far precedere a "Il caso Mersault" di K. Daoud , di cui ho sentito parlare molto bene (secondo The New Yorker, "Un grande romanzo che riscrive 'Lo straniero' di Camus dal punto di vista delle vittime arabe").