Dettagli Recensione
Il Prometeo che è mancato
Nell'immensa produzione mondiale di letteratura sono pochi i libri che hanno lasciato una impronta sul modo stesso di pensare come ha fatto il romanzo di Mary Shelley.
Sin quasi dalla sua prima pubblicazione Frankenstein ed il suo demone hanno segnato l’immaginario collettivo tanto da introdurre uno stereotipo stesso ed innumerevoli modi di dire.
Era da molto tempo che questo libro era in lista d’attesa, ma non trovavo mai il “coraggio” di leggerlo, poiché sentivo troppo opprimente la presenza delle innumerevoli interpretazioni che ne avevano offuscato l’idea originale. Tra parentesi, l’unica che mi sentivo e sento, tutt'ora, di sottoscrivere appieno è la versione ironica datane dalla coppia Gene Wilder/Mel Brooks.
Ho cercato comunque di partire senza preconcetti, sapendo bene che il romanzo della Shelley nulla aveva a che fare con i vari mostri cinematografici o di altra natura, tuttavia, forse anche per questo la delusione è stata ancor più cocente.
L’opera s’è rivelata, purtroppo, una cosina fragile, inconsistente pur con tutte le scusanti che ho cercato di trovarle: scritto da una ragazza di diciannove anni, con limitate esperienze della vita e del Mondo; in un’epoca in cui queste invenzioni, tra la fantascienza e l’horror, muovevano ancora i primi incerti passi (non parliamo delle scoperte scientifiche su cui basarsi); condizionato pesantemente da tutta una serie di pregiudizi morali, sociali e religiosi, tipici del periodo.
Lo stile è appesantito da una ridondante aggettivazione, spesso leziosa e sdolcinata. I personaggi, quasi tutti almeno (perfino, entro certi limiti, il demone stesso), sono pervasi di una eccessiva, irrealistica e stucchevole bontà d’animo e generosità di sentimenti, del tutto distaccata dalla realtà. Insopportabile ed insostenibile la svenevolezza di Frankenstein che, ad ogni contrattempo, si fa venire un mancamento che lo prostra per mesi e mesi. Ma soprattutto sono inaccettabili le ragioni stesse del romanzo: il demone è rifiutato solo perché brutto? E’ vero che l’autrice viveva in un epoca in cui la rettitudine morale era associata anche alla bellezza fisica e, di lì a poco, Lombroso avrebbe codificato certi pregiudizi, ma anche così la cosa appare irrealistica, soprattutto per quanto riguarda Frankenstein che per mesi s’era dedicato alla costruzione di quel mostro.
Sarebbe stato meglio giocare proprio sul concetto della immoralità di creare la vita, in competizione con Dio e con la presunzione di poter far meglio, per giustificare in modo molto più coerente, il generale rifiuto della creatura.
Frankenstein abbandona a sé stante una creatura ignorante e ignara del mondo in cui è stata proiettata per concedersi un deliqui di alcuni mesi? Semplicemente ridicolo oltre che incosciente ed immorale (dei due il vero e unico mostro è proprio lui). Sarebbe come se un moderno biologo producesse un nuovo supervirus e lo abbandonasse dentro ad una fiala sul pavimento di un bar.
A tutto ciò si aggiungano due ulteriori gravissimi difetti che demoliscono definitivamente l’opera. Da un lato l’innumerevole caterva di falsi storici introdotti: la vicenda è ambientata nel 18° secolo, non si sa esattamente in che periodo, e vengono citate opere letterarie e situazioni ancora di là da venire. Dall'altro le situazioni di umorismo involontario che costellano la narrazione: il demone che impara a parlare, leggere, scrivere in perfetto francese osservando da un foro le lezioni impartite all’araba Safie dalla famiglia De Lacey e, poi, parla come un retore e cita Milton e … Shelley e disquisisce di concetti che non dovrebbe neppure conoscere (!!!); il demone che attraversa mari, monti e lande artiche con una facilità che rasenta il miracoloso, soprattutto se si pensa che si nutre solo di sporadiche ghiande e radici strappate al terreno; Frankenstein che si muove e, quel che è peggio, ragiona, in un suo mondo personale totalmente scollegato da logica e realtà. E questi sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero portare.
In conclusione sono rimasto totalmente insoddisfatto dalla lettura. Scontento reso più forte dal fatto che, in fondo, speravo in qualcosa di meglio delle elaborazioni cinematografiche e, invece, queste forse hanno migliorato l’idea originale. Ma soprattutto la delusione deriva dal fatto che una idea intelligentissima e originalissima sia stata malamente sprecata, quando, invece, poteva dar vita ad un capolavoro letterario di prima grandezza, solo giocando su altri parametri in modo diverso: l’ambizione dello scienziato, l’amicizia, il senso di colpa, l’amore/odio, la discriminazione del “diverso”, etc.
Mi rendo conto di non essere molto originale con questa mia critica (in passato l’opera di demolizione, portata avanti anche da voci autorevoli, è stata molto più feroce), ma non mi sento di ricercare gli elementi positivi, che peraltro esistono e, nei secoli, hanno consentito una rivalutazione generale del romanzo, proprio perché la cosa che più mi colpisce e l’occasione sprecata dall'autrice.
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Commenti
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Gli argomenti trattati erano importantissimi (siamo alla vigilia di un epoca ricchissima di scoperte scientifiche), ma non mi sembra che siano stati ben utilizzati e sfruttati. Peccato!
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Devo dire che a me il libro è piaciuto : ho trovato bellissima l'atmosfera preromantica soprattutto nella rappresentazione della natura. Poi pone argomenti che fanno riflettere.