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Attesa dicotomica tra sense e nonsense
Due amici Vladimir e Estragon due persone comuni un po’ sempliciotte e a tratti ai limiti dell’idiozia, Estragon in particolare. Pozzo è l’uomo che sfrutta Lucky come fosse uno schiavo, quasi alla stregua di una bestia, bella trovata chiamare “Fortuna” un personaggio che di fortunato a ben poco, diamogli un bel calcio a questo punto.
Potremmo facilmente calare tutta questa opera teatrale in una realtà alla quale siamo abituati, proletari, padroni, poveracci, la fortuna, Dio, la felicità e i rapporti che intercorrono fra tutte questi attori. Godot è Dio? Oppure un qualsiasi signore, è la felicità, la ricchezza, o cos’altro? E perché tanta attesa, perché tanta aspettativa? non è necessario fare troppi pensieri su queste dinamiche.
Probabilmente la grandezza di questa opera sta proprio in questo nostro rimuginare sugli eventi e sulle aspettative dei personaggi e al contempo essere immersi in un nonsense ininterrotto, solo pochi sprazzi di lucidità apparente, anch'essa nonsense.
Beckett ci lascia con il fiato sospeso fino alla fine e chissà se questa sensazione ci lascia al termine della lettura, rende perfettamente la sensazione di attesa, quell'emozione di ansia e angoscia, mista a gioia e speranza che viviamo quando aspettiamo, qualcosa, qualcuno.
Non ho visto la rappresentazione teatrale dal vivo, ma la scenografia la vedo scarna, pochi elementi essenziali. I personaggi, nella loro “follia” dialettica sono forti e rimangono impressi in mente, tutti, soprattutto Godot nella sua evanescente ma forte assenza o presenza? O inesistenza?