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Il sognatore e la sua Nasten'ka
Nonostante le sue cento e poco più pagine, “Le notti bianche” contiene al suo interno l’intero pensiero Dostoevskijano. Due i protagonisti, il sognatore e la diciassettenne Nasten’ka, due personalità che tra le mura di una Pietroburgo deserta, malinconica, magica, quella appunto delle notti bianche, e dunque ben diversa dal sovraffollamento angosciante e/o dal borgo popolato di fantasmi e spaventose ombre dei romanzi di maggior successo dell’autore, vivono un dramma, una emarginazione, un’apparente riunione per un’inevitabile finale separazione.
L’ambientazione è il primo strumento utilizzato dal russo per descrivere della grande solitudine dell’eroe; le ampie dimensioni della città hanno il solo scopo, con il loro apparir ed essere vuote e spoglie, di rappresentare l’isolamento di costui, di evidenziarne la tragedia. E come non rivivere quelle letture romantiche proprie dell’epoca, proprie del protagonista sognatore che, dinanzi alla ringhiera di un canale e di poi su una panchina, concentra tutto il suo sentimento.
Il racconto è suddiviso in una prima ed una seconda notte alla quale si intervalla, antecedentemente alla terza, la storia di Nasten’ka, e a cui nuovamente ne segue una quarta ed infine il mattino. Dostoevskij prima ci descrive chi è e cosa è il sognatore (“un sognatore – se è necessaria una sua definizione precisa – non è una persona, ma, sapete, un essere di genere neutro. Si stabilisce il più delle volte in qualche angolo inaccessibile, come se ci si nascondesse perfino dalla luce del giorno, e quando poi si rifugia a casa, allora si radica al suo angolo come una lumaca, o almeno, è molto simile in questo atteggiamento a quell’interessante animale che è animale e casa insieme, che si chiama tartaruga” p. 55/56 ed. integrale), incentrandolo in un contesto primaverile di Pietroburgo dove al risvegliarsi della natura consegue l’abbandono della città per le case di campagna e quindi l’effettività di un uomo che resta solo, senza amici e/o affetti, lui che in quel luogo ci abita da anni e mai è riuscito a crear un legame se non con i palazzi e le strutture architettoniche che lo circondano. L’incontro con la giovane rappresenta il primo vero ed autentico contatto con un altro essere umano ed è la molla che lo risveglia dal torpore facendogli comprendere quel che ha perso. La realtà si scontra con l’immaginario .
Altro tratto distintivo che caratterizza la novella è la qualità stilistica interamente strutturata dal dialogo tra i due protagonisti, voci dalle quali trapelano, seppur sommariamente e per breve tempo, le figure della nonna e dell’amante della ragazza. Muta altresì anche lo stile narrativo, che ha inizio con elogi e ricche descrizioni del luogo, nonché con un iniziale assaggio delle inquietudini del protagonista per passare ad un monologo di quest’ultimo su se stesso. Al suo linguaggio erudito e forbito si alterna quello più colloquiale della donna, la quale accosta la spontaneità che le è propria per inesperienza di vita a quella soffusa della femme civettuevola e maliziosa desiderosa di abbandonare quel che la tiene “incatenata”.
L’uomo dostoevskijano è pertanto un soggetto in crisi, che non riesce a vedere con chiarezza nel proprio intimo e in quello dell’umanità, un individuo isolato, e che, dopo un lungo conflitto tra reale ed irreale, giunge ad una riflessione morale di indiscusso valore. Breve ma intenso, una lettura semplicemente piacevolissima.
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Da poco ho letto anch'io questo bel libro e condivido la bella recensione
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Recensione molto bella con interessanti notazioni.