Dettagli Recensione
Uno straordinario piano sequenza
Arthur Schnitzler è stato senza dubbio uno degli autori più importanti del primo novecento: pienamente immerso nel clima culturale della Vienna a cavallo della prima guerra mondiale, è stato il testimone e uno dei grandi narratori delle inquietudini e delle tragedie dei primi decenni del secolo, della catastrofe del conflitto, dello sfacelo dell’impero e dei convulsi anni privi di ogni certezza dell’immediato dopoguerra. Medico e scienziato, nelle sue opere letterarie – centrate spesso su singoli, straordinari personaggi – la patologia individuale ha quasi sempre un ruolo centrale, ma è sempre associata, anzi è la spia precisa, di una patologia sociale, di un malessere collettivo dato dalla falsità e dall’ipocrisia dei rapporti tra le persone, determinato a sua volta dai rapporti sociali vigenti. Ebbe contatti diretti con Sigmund Freud, che lo ammirava perché vedeva in lui quasi la trasposizione in forma letteraria delle sue teorie psicanalitiche; si può dire anzi che lo sviluppo della psicanalisi freudiana e la crescente importanza che nelle opere di Schnitzler assumono le tematiche legate all’inconscio, alla dimensione onirica, alle pulsioni sessuali e alla loro rimozione come fattore determinante i rapporti umani e sociali, siano andati in certo qual modo di pari passo.
Scrittore borghese, Schnitzler – come un altro suo contemporaneo grande borghese di area tedesca, Thomas Mann – è spietato nell’analizzare la dissoluzione di un mondo di falsi valori che sino a pochi decenni prima sembravano guidare infallibilmente il consorzio umano verso nuove magnifiche sorti e progressive. Tuttavia, a differenza di Mann, ed in questo a mio avviso più grande di Mann, egli non si illude che la soluzione della crisi stia nel recupero della purezza delle origini del mondo borghese magari associata alla saggezza delle piccole monarchie tedesche (si vedano in proposito 'Tonio Kröger' o 'Altezza reale'): Schnitzler è austriaco, non è impregnato di spirito e 'kultur' tedesche cui anche Mann soggiace appieno, e se da un lato non ha rimpianti e nostalgie per il mondo che gli si dissolve davanti, dall’altro non è neppure in grado di indicare soluzioni allo sfacelo, non ricerca affannosamente nel letame della Storia i germogli della rinascita. Parlando in termini medici (Schnitzler lo era) egli è grandissimo nella diagnosi, ma non si addentra in improbabili prognosi, il che del resto, come la Storia si è incaricata di dimostrare, non avrebbe avuto molto senso.
Il parallelismo di Schnitzler con Thomas Mann riguarda anche la loro capacità di essere antesignani della rivoluzione novecentesca della letteratura: solitamente – anche se in una maniera sicuramente convenzionale – si fa nascere la letteratura novecentesca propriamente detta con l’uscita de I Buddenbrook, il grande romanzo epico della crisi borghese. Ebbene, nello stesso anno in cui Mann esordiva con il suo capolavoro Schnitzler pubblicava un lungo racconto, 'Il sottotenente Gustl', feroce critica dell’imperialregio esercito, nel quale per la prima volta veniva usata, per narrare l’emblematica vicenda del protagonista, la tecnica del monologo interiore (lancio un accorato appello perché questo racconto, essenziale per capire il ‘900 letterario, venga riedito in Italia!). Siamo nel 1901, ben 21 anni prima dell’uscita di Ulisse e del suo 'stream of cosciousness', ed un allora pressoché sconosciuto medico viennese annunciava già che tutto era cambiato nel modo di scrivere, con una radicalità che sarebbe stata riconosciuta solo alcuni decenni dopo.
Il monologo interiore è la tecnica narrativa con cui, quasi un quarto di secolo dopo, uno Schnitzler ormai affermato costruisce un altro dei suoi capolavori, forse il più celebrato: 'La signorina Else'. Si tratta di un lungo racconto la cui vicenda si esaurisce in poche ore, tra il pomeriggio e la serata del tre settembre di un anno imprecisato, a San Martino di Castrozza, allora (come oggi) una delle località turistiche più note delle Alpi. Else, diciannovenne figlia di un noto avvocato di Vienna, è lì in vacanza da tre settimane, ospite di un grande albergo nel quale soggiornano anche sua zia, il cugino ed alcuni conoscenti. Else è una ragazza, spensierata, senza arte né parte, che sta cominciando a pensare al proprio futuro, naturalmente già perfettamente incanalato verso il ruolo di sposa e madre della buona società: sente però vagamente il richiamo del sesso, di cui ovviamente non ha ancora avuto esperienza diretta, osserva tra lo sprezzante e l’incuriosita i segnali di una relazione tra suo cugino e una donna sposata e si immagina donna spudorata, infedele e piena di amanti.
Nella hall dell’albergo le viene consegnata una lettera della madre, che le ingiunge di chiedere a nome del padre un prestito importante (trentamila gulden, che diventeranno con un successivo telegramma cinquantamila) a Von Dorsday, un conoscente di famiglia di mezza età con fama di uomo d’affari poco onesto e di scapolo impenitente. Si viene così a sapere che il padre, col vizio del gioco, è sull’orlo della bancarotta, che già in passato ha ricevuto ingenti somme da parenti e da amici, che Von Dorsday è l’ultima possibilità prima del carcere e che la dolce vita di Else, fatta di svaghi a Vienna e di soggiorni nelle località alla moda, è ormai insostenibile e forse destinata a cambiare per sempre. Else si sente usata dalla famiglia, e ondeggia tra il rifiuto di chiedere un favore ad un signore di mezza età che disprezza perché nei suoi confronti ha un atteggiamento ambiguo e il dovere filiale, che tra l’altro le potrebbe permettere di continuare a fare la sua bella vita. Nasce in lei il terribile sospetto che la famiglia, conoscendo le mire di Von Dordsay su Else e sulle giovani donne in genere, voglia letteralmente venderla al vecchio puttaniere (ovviamente Schnitzler non si esprime mai così, ma…), e questo pensiero comincia a far vacillare tutte le labili certezze di Else. Ella trova infine il coraggio di parlare con Von Dorsday: Nel corso del drammatico colloquio egli prima sembra negare il suo aiuto, quindi si dice disposto a versare la somma (che sa comunque non essere risolutiva e che, ne è conscio, non rivedrà più) ad una precisa condizione: vedere Else nuda. A questo punto Else, messa di fronte ad un dilemma angosciante e sempre più convinta di essere stata usata dalla famiglia in modo cinico, precipita progressivamente in uno stato di confusione mentale in cui alterna caoticamente momenti di apparente assoluta decisione su cosa deve fare ad altri in cui rivela la sua fragilità psichica. In breve il dramma giunge al suo compimento con modalità che lascio scoprire al lettore.
L’elemento caratterizzante in assoluto questo racconto è l’utilizzo esclusivo del monologo interiore. Tutto si svolge come detto in poche ore, diciamo tra le 17.00 e le 21.00 del tre settembre. Durante questo tempo noi siamo dentro la testa di Else, e non la abbandoniamo un secondo. E’ una sorta, cinematograficamente parlando, di lunghissimo e ininterrotto piano sequenza, fatto di frasi brevi, i pensieri di Else, che divengono sempre più convulse e contraddittorie via via che la sua vicenda assume le tinte del dramma; le frasi dette dagli altri personaggi sono sempre e solo quelle ascoltate da Else, ed è lei, attraverso i suoi pensieri e commenti interiori o attraverso le sue risposte a farci capire la situazione. Il racconto assume così un fascino peculiare, perché la tecnica usata, e la maestria con la quale è usata, riescono davvero a farci percepire appieno l’incalzare del dramma di Else.
Sbaglieremmo però se pensassimo che l’uso del monologo interiore serva a Schnitzler per descriverci solamente il dramma di una persona: come detto la grandezza di questo scrittore va ricercata nella sua capacità di descriverci un’epoca, una società attraverso l’analisi della psicologia dei protagonisti delle sue storie. Così, ne 'La signorina Else' il monologo interiore serve a Schnitzler per sottolineare la distanza tra il formalismo e la banalità delle frasi di Else, dettate dalle convenzioni sociali, in cui abbondano i "signor tale e talaltro", i "gnädige frau", e i suoi veri pensieri; serve a Schnitzler per sbatterci in faccia la grettezza ed il cinismo di Von Dordsay, degno rappresentante dello spirito affaristico su cui è fondata ancora oggi la società; serve infine a Schnitzler per sottolineare i drammi umani, il vuoto di sentimenti e l’abisso sociale sui quali è fondato uno dei pilastri dell’organizzazione sociale borghese: la buona e rispettabile famiglia. La signorina Else presenta quindi a mio avviso tutti i tratti del capolavoro letterario, per la storia narrata, per il valore universale che essa assume, per come è narrata. Ho solo maturato, leggendolo, un piccolo dubbio. Schnitzler scrive il racconto nel 1924, avendo passato la sessantina: mi sembra di poter dire che la società da lui descritta, almeno nei suoi tratti esteriori, fosse già stata spazzata via dalla guerra, appartenesse ad un’epoca che, seppure di pochi decenni prima, fosse completamente diversa. Anche lui, probabilmente, non poteva sottrarsi al fascino sottile che quell’epoca ancora irradiava, anche se – lungi dal rievocarla con nostalgia attribuendole virtù fittizie come faranno ad esempio Roth o Von Hoffmannsthal – la richiama per distruggerne ancora una volta i fondamenti; è come se fosse troppo anziano per rivolgere i suoi strali verso la realtà che lo circondava, sicuramente non priva di contraddizioni: altri, appartenenti alle nuove generazioni, si assumeranno questo compito.
Una notazione sull’edizione. Ho letto il libro nell’edizione 'I corvi' Dall’Oglio del 1984, che però riprende integralmente (credo) quella originale del 1928. Ebbene, lo stile desueto di traduzione, l’italianizzazione dei nomi dei personaggi (il titolo diviene 'La signorina Elsa') e la prefazione di Antonio Baldini, quasi commovente nel suo ingenuo idealismo crociano, nella quale l’autore è lo Schnitzler, contribuiscono secondo me non poco al fascino sottile del libro, fascino che per me è aumentato dal fatto di trovarmi per ventura a vivere nei luoghi in cui il racconto è ambientato.
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Anche a me il libro è piaciuto, anche se non così tanto com'è piaciuto a te.