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Caos e incanto
Sogno di una notte di mezza estate è una delle più celebri commedie di Shakespeare, la cui fama è stata meritatamente perpetuata da innumerevoli riproposizioni e rifacimenti. Tralasciando la trama, la particolarità di questa commedia consiste nell’intrecciarsi e sovrapporsi di tre piani scenici, rappresentanti tre diverse dimensioni della realtà: la cornice delle nozze di Teseo e Ippolita simboleggia il mondo della realtà, le vicende dei quattro giovani amanti nel bosco di elfi e fate il mondo della fantasia e la rappresentazione di Piramo e Tisbe il mondo dell’arte. In tutto ciò l’elemento motore degli eventi è rappresentato inizialmente dall’amore, la cui forza, che spinge i protagonisti ad agire, non va però sopravvalutata nella sua incidenza. L’effetto comico è dato, infatti, dall’apparente casualità secondo cui tutto accade: se infatti già la prima fuga, in cui ciascuno segue i propri amanti, risulta folleggiante, a complicare ulteriormente la situazione intervengono elfi, fate e folletti, ovvero entità che pur rimanendo sconosciute a tutti i protagonisti, riescono a mescolar le carte delle loro vite pur badando precipuamente ai loro interessi. Puck, usando il filtro amoroso e provocando la trasformazione di Bottom, appare come colui che tiene in mano le redini del destino, gestendole in maniera del tutto casuale e disinteressata. Ecco che dunque, tra le passioni e il caso, tutto si rimescola inaspettatamente e imprevedibilmente, le situazioni si ribaltano senza alcuna logica e l’unica cosa che rimane costante è la fuga dei quattro amanti, che ricorda molto da vicino gli inseguimenti per il bosco incantato e nel palazzo di Atlante dell’Orlando furioso di Ariosto. Come in quest’ultimo poema, dunque, e come, in realtà, in buona parte della letteratura del XVI secolo (si pensi pure al Don Chisciotte di Cervantes o all’Elogio della follia di Erasmo), domina una caliginosa sensazione di vanità, d’irrazionalità e di folle irrealtà, che va a culminare con l’impressione di sogno che i giovani avranno al loro risveglio, quando l’arrivo di Teseo e Ippolita li riporterà nel mondo reale.
A cavallo tra mondo della fantasia e mondo reale si pone il mondo dell’arte, su cui Shakespeare apre una fondamentale finestra, caratteristica topica della sua drammaturgia. L’inserzione della rappresentazione di Piramo e Tisbe gli consente di sfruttare a pieno le capacità del teatro all’interno del teatro stesso e di affrontare anche importanti tematiche in relazione ad esso: innanzitutto, interessante è notare come la messinscena degli artigiani si risolva in una farsa, una parodia comica di un soggetto tragico che molte affinità presentava con l’inizio di questo stesso dramma (Piramo e Tisbe fuggono in un bosco perché ostacolati nel loro amore proprio come Lisandro ed Ermia) e che, per di più, proprio in quegli anni Shakespeare rielaborava nella grande tragedia Romeo e Giulietta. La rappresentazione degli artigiani, dunque, giunge a configurarsi come un doppio del dramma in cui è inserito e come una rielaborazione comica di quest’ultima tragedia. Inoltre, l’insistenza sulla goffaggine della rappresentazione e gli evidenti scarsi mezzi a disposizione di questa improvvisata compagnia forniscono a Shakespeare l’occasione di esporre sue idee drammaturgiche e, soprattutto, di parlare, attraverso le parole molto spesso di Teseo nell’ultimo atto, delle precarie condizioni del mondo teatrale inglese di fine Cinquecento: la denuncia della mancanza di mezzi, degli stenti della professione di attore, spesso ridicolizzata, si risolvono in quello che sembra un invito al pubblico ad apprezzare sempre la buona volontà e a collaborare facendo uso della fantasia per sopperire alle manchevolezze economici o anche semplicemente strutturali del teatro elisabettiano. Ciò è ben rappresentato dal prender vita sulla scena di elementi inanimati (il leone, il chiaro di luna, la parete) per i quali i drammaturghi erano soliti affidarsi a didascalie sceniche che affondano le loro radici nel teatro classico.
Da un punto di vista stilistico, Shakespeare mostra come sempre la sua straordinaria perizia nel mescolare abilmente registri diversi, che spaziano dal tono tragico a quello comico, dal tono lirico-elegiaco a quello ideologico, il tutto su uno sfondo filosofeggiante nell’analizzare l’interattività delle varie dimensione del mondo della natura, con la consueta attenzione alla centralità della figura umana in esso.
Tra le tanti fonti che si possono rintracciare, in particolare forte è il debito contratto con la letteratura classica per la realizzazione di questo dramma. A livello strutturale, infatti, questa commedia presenta alcune convergenze con la commedia nuova greca e con quella latina, quali i ricorrenti, seppur privi di regolarità, pezzi cantati a far da sottofondo o separazione tra le scene (oltre a contribuire a conferire un’aura di magia) o lo stesso epilogo cantato che invita il pubblico ad applaudire la rappresentazione, topos della commedia classica. A livello contenustico, poi, oltre all’ambientazione nella mitologica Atene di Teseo e Ippolita e all’utilizzo di nomi tipici della grecità antica, evidente è il rifacimento alle Metamorfosi di Ovidio, in cui si narra la storia di Piramo e Tisbe (e in cui compare il personaggio di Titania; inoltre la trasformazione in asino di Bottom è un chiaro riferimento a L’asino d’oro di Apuleio.
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