Dettagli Recensione
L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI ESSERE K.
Sono passati due mesi da quando ho finito di leggere "Il castello" del nostro benemerito Kafka ma scrivere di getto un commento non si può. Nel suo caso, proprio non si può.
Ma riassumiamo in breve la trama: il signor K giunge in una misteriosa città con una lettera di convocazione per un lavoro: quello dell’agrimensore. La città si presenta come un velo opaco sovrastato da un imponente castello e ornato da un numero esiguo di abitanti ostili agli stranieri e diffidenti nei confronti di chiunque non faccia parte della piccola comunità. K aspetta di ricevere l’incarico ufficiale ma la situazione è ambigua. Non c'è dubbio che il vero centro del potere è il castello, un macchina perfetta di burocrati che parlano, scrivono e vivono immersi in piramidi di carte. Buttandosi il velo alle spalle K. tenta di comunicare con il misterioso signor Klamm, unico suo contatto di rilievo. Ogni tentativo però fallisce miseramente, ogni volta che K allunga il braccio per toccare Klamm egli si allontana istantaneamente e il senso di frustrazione aleggia nell'aria inerme. Determinato a risolvere la sua attuale situazione K. si adopera affannosamente ma scopre ben presto di essere vittima di un errore di valutazione, il lavoro di agrimensore non è più disponibile (lo è mai stato?), in cambio gli viene offerto un posto come bidello della scuola dove viene costantemente umiliato dal maestro che lo disprezza profondamente. K. è disorientato e amareggiato, unica sua consolazione è l'amore per Frida, ex amante di Klamm e capocameriera presso la Locanda. E' solo per lei infatti che decide di accettare il lavoro da bidello e di trasferirsi a vivere nella scuola, pur non mostrando particolare interesse né per la posizione lavorativa né tantomeno per le persone che vi dimorano.
Anche su questo punto si aprono più porte, con il passare del tempo la certezza dell’amore di K. per Frida diventa incertezza, l’autore ci trasforma in esseri sospettosi che seguono le vicende di K con livelli di attenzione non sempre adeguati.
Il libro scorre lentamente, a tratti con picchi più intensi. Con Kafka non possiamo prendere punti di riferimento, l’ambientazione fuori dallo spazio colloca il protagonista in una dimensione astratta dove il centro pulsante è l’angoscia, l'uomo perso nel mondo incapace di collocarsi.
K. (abbreviazione dello stesso Kafka?) è determinato ad avere un ruolo nella società, ad essere rispettato dalla comunità ma nella sua corsa ossessiva inciampa più volte nella sua afflizione lasciandosi dietro la meta agognata.
Se la Metamorfosi mi aveva appassionato per l’ironia dell’assurdo il Castello è una pietra che tenti di sollevare dal piede destro per poi ricadere miseramente sul sinistro. Va bene l’alienazione dell’uomo, va bene lo sgomento esistenziale ma perché indugiare nel dettaglio, in descrizioni fini solo a se stesse? Kafka è un maestro della parola in grado di creare ambientazioni uniche ma avrei apprezzato una sintesi maggiore in alcuni tratti e più spazio alla sfera introspettiva di K.
Un ultimo avvertimento: sulla parola dell’ultima pagina del romanzo lancerete un imprecazione.
Tutto ok.
Siete giunti al castello.
Indicazioni utili
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |