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cocci e conchiglie
E' un mondo cinico quello descritto ne "La campagna di vetro" ed i suoi abitanti appaiono per la maggior parte predatori.
Nel suo personale, forse in parte autobiografico, ritratto della società statunitense degli anni '60, Sylvia Plath ricrea quello che forse è stato il universo personale soffocante, opprimente, claustrofobico, indotto da una realtà che procede e va avanti trascinando dietro sé tutto ciò che incontra sul suo cammino. Esther, la nostra protagonista è troppo fragile per respirarvici.
I suoi attori sono antropomorfi stereotipi: il simbolo della competitività americana, dell'apparenza borghese che nasconde incoerenze di una società smaltata ma che dentro è ipocrita. Il successo, obiettivo primario, conquistato con l'astuzia da sciacallo e con quello spirito competitivo tipico del cowboy.
Una borghesia che vive di "dover essere" che copre con le luci le sue tante ombre.
Ma Esther invece... rappresenta la purezza in questo caos, la sincerità, il coraggio di rifiutarsi di vivere una vita non propria. Si trova schiacciata in questa realtà di aspettative che vorrebbero attribuirle un'immagine perfetta: moglie e madre.
Al desiderio connaturato di amore si scontra però il rifiuto di un destino già segnato. Amare vuol dire essere condannati a vivere all'ombra del matrimonio per l'eternità. Ciò che cerca Esther è il vero sentimento, forse finto nella sua ingenua idealizzazione, quello svincolato dai ruoli sociali e dalle aspettative di genere che la società bigotta le avrebbe imposto.
Lo scontro esistenziale compare nel momento in cui bisogna scegliere a tutti i costi e rinunciare all'altra faccia della medaglia: la realizzazione personale, che sembra escludere la vita famigliare e la presenza dei sentimenti.
Sentiamo sin dall'inizio della narrazione che Esther si sente schiacciata in una morsa: l'amore da sempre sognato ed ora disilluso, e la possibilità di intraprendere tutte le strade che la vita le offre.
Questo è quindi un mondo di esclusioni, di scelte marcate, di privazioni.
Amore un altro essere o sé stessi?
In questa turbante riflessione Esther si perde impetuosamente. Si lascia schiacciare dalle paure verso un futuro che le sembra segnato e che rifiuta. Immagina davanti a se un "fico" del quale ogni ramo rappresenta un avvenire possibile (la famiglia i viaggi la carriera), ma che inizia piano piano a far marcire i suoi frutti davanti ai suoi occhi. Come marciscono i frutti se non perchè non son colti?
Un futuro già fallito in partenza dunque? Un'indecisione esistenziale che nasconde una forte fragilità interiore in un mondo le non ammette tregue.
La nostra contro-eroina fa parte di quelle tante anime del mondo nate "storte", o semplicemente pure e sincere, dotate di una sensibilità che le rende inadatte al mondo crudele e distruttore in cui viviamo. In questa realtà gli spiriti delicati ne escono ammaccati con la sensazione di non avere una direzione, o come scrive qui la Plath, di sentirsi "un cavallo da corsa senza piste".
La storia di questa giovane donna ci cattura perchè ha il potere di turbare mentre cerchiamo di capire quale possa essere la ragione del suo malessere. Un precoce lasciarsi andare perchè è meglio fingersi pazzi piuttosto che restare in una realtà odiata, che Esther vive immersa nella sua lattiginosità.
Ho apprezzato questo racconto perchè si legge il coraggio di ammettere le proprie fragilità.
Mi è sembrato di percepire, durante la lettura, questo lento lasciarsi scorrere, quasi come se la vitalità scivolasse via come una goccia d'acqua gelida sulla pelle. Sappiamo che cadrà al suolo e non vogliamo fermarla perchè di reca un sottile, masochistico piacere.
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Ciao, faye
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