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Huck, il Mississippi e la libertà
Un povero ragazzo sbandato e ribelle, uno schiavo negro fuggiasco, un grande fiume, il Mississippi, e la sua particolare “fauna”. Con questi pochi ingredienti Samuel Langhorne Clemens, meglio conosciuto con il nome di Mark Twain, costruisce quello che viene ritenuto uno dei più grandi capolavori della letteratura americana dell’ottocento e forse di tutti i tempi.
"Le Avventure di Huckleberry Finn" si innestano direttamente sui fatti narrati nel precedente romanzo, “Le avventure di Tom Sawyer”, ma se ne distaccano in modo netto, sia come stile narrativo che come argomenti trattati.
Huck è un ragazzo che, nel paesello d’origine, St. Petersburg (in effetti Hannibal nel Missouri, dove visse il giovane Clemens), fa vita di strada, essendo orfano di madre, mentre il padre, alcolista, è da anni dato per disperso. Nei giochi e nelle avventure create ad arte, ama unirsi alla banda dello scatenato Tom Sawyer, anch'esso orfano, ma faticosamente tenuto a freno da sua zia Polly. Nel romanzo precedente i due ragazzi, scoperto un tesoro nascosto, erano diventati ricchi, ma Huck è insofferente della vita piena di regole e obblighi che la vedova Douglas e sua sorella Miss Watson gli vorrebbero imporre, poiché hanno deciso di farne un “bravo ragazzo”. A complicare le cose, poi, c’è il ritorno del padre che, ingolosito dai soldi che ha ora il ragazzo, vorrebbe riprenderlo con sé per poter allegramente dilapidare il capitale in whiskey.
Huck, profittando dell’assenza del padre, fugge alle sue continue violenze, simulando la propria uccisione da parte di qualche malintenzionato.
Si rifugia inizialmente su un’isola in mezzo al Mississippi. Qui si imbatte in Jim, lo schiavo fuggitivo di Miss Watson. I due, un po’ per evitare a Jim la cattura e un po’ per spirito d’avventura e amore della vita libera, iniziano un lungo viaggio in zattera, lungo il corso del grande fiume.
Sul fiume e sulle sue coste troveranno ad attenderli una lunga serie di avventure, tra le faide familiari e storie d’amore contrastate, tra briganti fluviali e truffatori incalliti, tra brutali uccisioni e mancati linciaggi.
Le avventure, che, a St. Peterburg, Huck si limitava a immaginare assieme a Tom, diventano la sua realtà quotidiana. Sino a quando, proprio per sfuggire ai due imbroglioni che si sono proditoriamente installati sulla sua zattera e millantano essere, uno, un duca decaduto e, l’altro, Luigi XVII Borbone, sfuggito alla ghigliottina, si ritroverà nei pressi della fattoria Phelps. Qui i due mascalzoni, nella loro ultima vigliaccata, hanno portato il povero Jim spacciandolo come uno schiavo fuggito da Orleans su cui pende una grossa taglia.
Huck, lottando contro la sua coscienza inevitabilmente schiavista, vuole liberare quello che ormai è suo amico. In ciò lo aiuterà Tom Sawyer (la signora Sally Phelps altri non è che la sorella di zia Polly) appena giunto sul posto. Nella fattoria inizieranno una commedia degli equivoci tra i due ragazzi e la famiglia che li ospita, ed una rocambolesca serie di buffoneschi artifici per rendere l’evasione di Jim sufficientemente eroica e difficile, sulla scia dei romanzi di cappa e spada che tanto piacciono a Tom. L’inevitabile happy end giungerà con una serie di colpi di scena finali.
Dicevo prima che, in questo romanzo, Mark Twain muta totalmente lo stile ed il tipo di trattazione precedenti. Infatti il romanzo, narrato tutto in prima persona da Huck, in un linguaggio volutamente imperfetto e rozzo, ma tutt'altro che fastidioso o faticoso, è soprattutto un grande acquerello della vita della frontiera americana della prima metà del XIX secolo, con tutti gli stereotipi che abbiamo imparato a conoscere.
Come tutti i ragazzi della mia epoca Tom e l’inseparabile amico Huck erano stati compagni delle mie letture infantili, ma non mi ero mai avvicinato alle "Avventure di Huckleberry Finn". Nella mia riscoperta di Mark Twain, quindi, ho ripercorso l’intero tragitto per giungere a questo romanzo che da un lato mi ha piacevolmente stupito e dall'altro mi ha deluso.
Lo stupore è nato dallo scoprire proprio la marcata differenza di cui dicevo, il primo è dichiaratamente un libro per ragazzi, questo, no, è un volume adulto che fa riflettere e meditare parecchio.
La delusione, paradossalmente, è nata proprio da questa constatazione. Con il materiale che aveva Clemens, poteva nascere un libro di altissima letteratura oltre che di seria denuncia, ma l’autore non si è sentito di spogliarsi totalmente dalle vesti di scrittore umoristico. Così, purtroppo, scherza troppo con temi molto seri che, invece, meriterebbero una più audace presa di posizione. Un lettore moderno, smaliziato e cinico, si aspetterebbe che il povero Huck, vessato dal padre violento e posto a contatto con una realtà cruda e spietata, si comporti in modo più dolorosamente maturo di quanto in effetti faccia; che ragioni in modo più rudemente critico. Invece pare sempre ammantato della stessa gioiosa ingenuità che forse aveva Clemens alla sua età. Ingenuità che poteva essere giustificata nell'autore (almeno sino ai 13 anni), figlio di un agiato avvocato, ma lo è molto molto meno in un ragazzino che deve lottare per ogni pagnotta che mangia.
È un peccato, poi, che le varie avventure vissute da Huck, come spettatore o come co-protagonista, tutte crudamente reali, siano ammannite nella loro chiave più buffonesca e lieve. Piuttosto irritanti, infine, sono i due interludi, iniziale e finale, in cui compare Tom. Soprattutto la parte finale con i piani di evasione di Jim, che tanti strali ha ricevuto anche dalla critica americana, risulta ostica. Non posso negare che Clemens riesca a strappare più di una fragorosa risata con le trovate per rendere rocambolesca l’evasione di Jim. Tuttavia il riso diviene amaro sol pensando con la testa di chi, nella fattispecie, si trova a subire le angherie dei due furfantelli. Soprattutto non si comprende come Huck, ancor più maturato durante il suo lungo viaggio, si faccia trascinare nuovamente da Tom nelle avventure frutto della sua fervida fantasia, quando ben ha compreso quanto sia dura l’avventura che la vita stessa rappresenta.
Mi rendo conto che l’epoca in cui visse l’autore, anche dopo il 1865, non gli consentisse di fare clamorosi proclami antischiavisti o di denuncia sociale e che una eccessiva drammatizzazione dei fatti avrebbe snaturato totalmente il tenore che al libro voleva dare, tuttavia non avrebbe danneggiato l’impianto generale una maggiore consapevolezza dei ruoli dei singoli personaggi.
Proprio per questi motivi tra i vari personaggi chi giganteggia non è il protagonista/narratore, Huck, ma Jim che si dimostra l’individuo più veramente e profondamente umano tra tutti, con una sensibilità e generosità d’animo tale da fargli rinunciare alla libertà raggiunta pur di salvare chi lo aveva “aiutato”, anche se con tutte le crudeli difficoltà inventate per puro gioco.
Conclusivamente, comunque, il libro è estremamente piacevole da leggere e, pur con tutte le sue manchevolezze, dovrebbe appartenere al bagaglio culturale di ognuno di noi.