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il fraterno odio
“(...) anche nella menzogna più abilmente costruita, vi è sempre un punto debole, se lo si sa colpire, che fa crollare tutta la costruzione; e se, grazie a quel colpo felice, non avessimo incrinato il piedistallo dell'idolo, cosa sarebbe stato di noi al momento della catastrofe?”
L'odio viscerale, inestinguibile, incontrollato, che marchia le vite, dà loro una direzione diversa da quella che avrebbero potuto avere, le sacrifica.
Un odio che sembra nascere per caso, con il lancio di una moneta: essa rotea per aria, più volte e più volte, e ricade nella mano da cui è partita, quella di James, signore di Ballantrae, primogenito della nobile famiglia scozzese dei Duries. Suo fratello Henry, sua moglie Katharine e il vecchio lord Duries – gli altri superstiti di una stirpe secolare – sembrano quasi presagire tutto il male che verrà da quello scherzo del caso.
Sarebbe toccato ad Henry, in quanto secondogenito, partire per la guerra, rappresentare la famiglia nelle truppe di re George; invece James, spavaldo ed impetuoso, con quella “sfida” al fratello scompagina un destino già tracciato. Per mezzo di quella stessa moneta che miss Katherine, con un gesto di stizza, lancia attraverso il vetro di una finestra, mandandola in frantumi. Ulteriore presagio di sfortuna. Che avrà il suo logico epilogo quando, nella tenuta dei Duries, giungerà la notizia della morte di James in battaglia.
Passano gli anni. Il dolore pian piano sembra sopirsi. Il vecchio lord Duries intende sistemare ogni pendenza quando prepara le nozze della vedova con il proprio figlio superstite, Henry: ciò anche per contrastare quella maldicenza di paese che, dopo la morte di James, si è rivoltata contro l'incolpevole fratello.
Quando tutto sembra incanalato verso una nuova strada, nel castello di Durisdeer riappare il signore di Ballantrae, vivo e vegeto, pronto a rivendicare la sua parte di patrimonio ed a dare, per questo, dell'usurpatore (di titoli e denari) al fratello.
E' l'inizio di una disputa infinita, fatta di veleni, infamie, fughe e ritorni, duelli a fil di spada...
Una storia di avversione profonda ed inesauribile, ambientata da Robert Louis Stevenson nella Scozia del diciottesimo secolo.
L'autore sceglie di raccontarla attraverso un quinto personaggio, memorabile al pari degli altri protagonisti della vicenda: il buon Mackellar, servo del signorotto Henry, a lui talmente fedele da soffrire della sua sofferenza, destinato a diventare il “contatto” (e nello stesso tempo lo “schermo”) tra i due fratelli.
Al racconto del servitore si alternano quelli di altri personaggi minori, incentrati in particolare sulle peripezie di James di Ballantrae in quei mondi esotici e lontani che egli batte nei periodi di assenza dal castello di Durisdeer (mondi che, come in Emilio Salgari, appaiono spesso nelle opere di Stevenson).
Il punto di forza della storia è senza dubbio nella fine descrizione psicologica dei personaggi (e in particolare dell'involuzione dei due fratelli verso un odio sempre più accanito). E' proprio questo elemento a permettere di collocare il libro in commento tra “Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde” e romanzi avventurosi come “L'isola del tesoro” e “La freccia nera”. Stupisce che, a differenza di questi titoli, “Il signore di Ballantrae” non sia conosciuto e citato allo stesso modo quando si parla di Robert Louis Stevenson.
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Commenti
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Oggi il romanzo d'avventura non esiste più (o, meglio, è stato assorbito da altri generi, il fantasy prima degli altri). Per la lettura di un "puro" romanzo d'avventura, allora, Stevenson diventa imprescindibile.
Bravo!
I classici sono il mio rifugio, invece. Spesso mi deludono libri contemporanei, e allora vado a rifugiarmi, scoprendo stili finanche più moderni... E capisco perchè si chiamano classici...
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