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La paradossale fratellanza degli uomini
Ragione e sentimento, bene e male, avidità e generosità, delirio e avvedutezza, amore e odio: questi sono i motivi contrastanti che popolano un romanzo in grado di riflettere con sconcertante chiarezza la profonda lotta di emozioni e idee che sconvolge l'animo umano. Ivan, Alekseij, Dmitrij e ovviamente l'enigmatico Smerdjakov, quattro fratelli che sembrano talvolta estranei, legati da una figura paterna avara ed egoista, il cui comportamento si dimostra totalmente diverso da quello che ci si aspetta da un genitore. Fedor è infatti un uomo che si lascia trascinare dalla vita e dalle passioni, che continua a mentire agli altri e a se stesso diventando l'artefice e la vittima di uno scherzo senza fine; un buffone capriccioso che si prende gioco del figlio tentando di sedurre la sua amata, ma che manifesta fin da subito un inaspettato spirito di osservazione. Egli infatti comprende sin dagli inizi che Alesa è diverso degli altri, che nel suo cuore albergano sentimenti autentici e valori nobili che lo rendono il vero eroe della storia, come lo stesso autore sottolinea nella prefazione. E se Dostoevskij non avesse condotto per mano i nostri pensieri verso la figura di Alesa, se il vecchio Fedor Karamazov, con la sua esistenza dissoluta, non fosse stato capace di emozionarsi se non davanti al terzo figlio, il lettore ne avrebbe riconosciuto la centralità all'interno dell'opera? Quattro fratelli e quattro personalità ugualmente affascinanti e travagliate dai misteri della fede e dalle insidie del dubbio: nemmeno Alesa può sconfiggere definitivamente il diavolo perchè anche questo è parte di noi. Come in ogni sua opera Dostoevskij rende i propri personaggi l'emblema di un ideale, la manifestazione concreta di un modo di essere: Ivan simbolo della Ragione, Dmitrij incarnazione del Sentimento e Alekseij come connubio schilleriano dei due; allo stesso tempo però non trascura mai quelle insicurezze, paure, inquietudini che appartengono inevitabilmente a ciascuno di noi. Nei suoi romanzi il lettore non troverà mai un personaggio buono e uno cattivo, il bianco e il nero, ma un’innumerevole quantità di sfumature che non possono dar vita ad una tinta decisa dal momento che, se la nostra anima fosse un quadro, non potrebbe assolutamente assomigliare ad un Mondrian ma solo ad un Kandiskij. Così attimi di sorprendente razionalità lasciano subito spazio alla furia delirante di Ivan o di Smerdjakov, come se ciascuno di noi fosse improvvisamente preso da una crisi epilettica, quel disturbo di cui lo stesso Dostoevskij era vittima e che, nella sua assurda manifestazione, sembra rivelare all’uomo verità nascoste che con la pura ragione non avrebbe mai potuto indovinare: ecco che il delirio diviene un’epifania, la malattia una fonte di sanità.
Sarei stata davvero impaziente di leggere il seguito di questa grande opera. I fratelli Karamazov ricoprono un ruolo centrale, le loro vicende dominano la scena, ma non sono gli unici personaggi degni di nota. Forse l’orgoglio ferito di Katerina non meriterebbe un approfondimento? I sentimenti contraddittori che albergano in un animo pronto a sacrificarsi per il puro gusto di ricevere la compassione altrui, il dissidio di una donna che finge di calcolare le proprie mosse per poi agire d’istinto. E cosa dire di Grusenka? La donna fatale che riesce ad ammaliare persino l’innocente Alekseij e che, nonostante la maschera di indifferenza e crudeltà che è solita indossare, non è altro che una ragazza in balia di forti passioni, di un amore giovanile culminato nella delusione e che infine soccombe ai sentimenti di Dmitrij. Due donne, due modi di amare e di soffrire per un uomo che nella sua spregevole depravazione, mantiene quel briciolo di integrità sufficiente a suscitare compassione nel lettore. Dmitrij è ingenuo, è così palesemente innocente da diventare infine colpevole agli occhi di coloro che non lo conoscono per ciò che è ma per ciò che si suppone abbia fatto.
Parallelamente alla vicenda dei Karamazov, la storia del santo e saggio Zosima, del piccolo Iljuseka e del sagace Kolja: persone che nascono e che muiono, che gioiscono e che provano dolore ma che, nonostante la lussuria, la crudeltà, l’egoismo, che attribuiamo spesso all’essere umano, sono capaci di azioni autenticamente buone e manifestano una solidarietà in grado di unire in una astratta ma percettibile fratellanza tutti coloro che popolano il mondo dei vivi e dei morti.
Forse il Grande Inquisitore ha ragione, forse gli uomini si spaventano quando entrano in contatto con la pura libertà, hanno bisogno di regole, accettano di barattare il libero arbitrio con una schiavitù che garantisce tranquillità, ma è ormai chiaro che non si può descrivere l’esistenza come una linea netta: ci sono situazioni, circostanze eccezionali a cui nessuno può trovare una precisa spiegazione e lo stesso atto di riconoscere i limiti della propria conoscenza, l’istante in cui si inizia a dubitare, si comincia anche inevitabilmente a credere. La domanda non è “Dio esiste?”, ma “Come posso negare l’operato di un essere divino?”; d’altra parte la negazione presuppone l’affermazione e se lo scettico Ivan vede il diavolo non può più rifiutare l’esistenza di Dio. San Tommaso già credeva prima di vedere, Ivan ha ucciso forse prima di Smerdjakov e non ha mai avuto bisogno di cercare la fede, non faceva altro che reprimerla.
Il romanzo offre quindi infiniti spunti di riflessione che non posso affrontare completamente in una recensione e probabilmente molti di essi non mi sono ancora chiari, ma è proprio questo l’aspetto che amo di Dostoevskij, la sua capacità di insinuare un’idea, un dubbio che non potremo mai risolvere forse ma che stimola la nostra mente ad inoltrarsi nel misterioso universo della psiche. Ciò che rende un libro una grande opera non è all’interno di essa ma all’esterno, non è nelle parole dell’autore ma nei milioni di pensieri e di emozioni che riesce a suscitare nel lettore, portandolo a creare una sua unica, personale versione del romanzo.
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Hai scritto un commento veramente bello, con un'analisi molto interessante.
Ovviamente si tratta di un grande libro.