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Lo squallore della commedia umana
Quanti lutti, quanto dolore e quanti danni procuri la guerra, qualsiasi guerra, in ogni tempo ed in ogni luogo, è cosa nota a tutti. Non ci si sofferma mai abbastanza a riflettere sui guasti che le guerre continuano ad arrecare anche nel dopoguerra, e di come i diretti protagonisti degli eventi bellici tornino dal fronte, se e quando ne fanno ritorno, mutati nel fisico, ma soprattutto nell’animo, non sono più le stesse persone di prima, ma neanche lo sono cose e persone che sono stati costretti a lasciare per i campi di battaglia, e quindi a volte, se non spesso, il loro ritorno nei luoghi di origine, ai loro affetti, alla vita pre-guerra è come lo sbarco di un alieno in terra straniera.
Perché la guerra, con le sue miserie, muta lo stato delle cose, e questa mutazione è uno delle sue conseguenze più nefande.
Perché tutto cambia, anche i valori in cui si è nati, cui ci si è sempre ispirati, e per la difesa dei quali si è partiti per la guerra, e non sempre i valori cambiano in meglio, talora si restaurano quelli meno etici, ed adattarsi non è da tutti.
In estrema sintesi, questa è la trama del “Colonnello Chabert” un romanzo breve, o racconto lungo che dir si voglia, di Honoré De Balzac, contenuto nella sua opera più conosciuta, e anche più ambiziosa, la celebre “Comedie Humaine”, raccolta di romanzi, racconti e opere varie con le quali Balzac vorrebbe descrivere tutto ciò che è proprio dell’uomo.
Il romanzo, ambientato a Parigi nei primi anni dell’800, subito dopi i fasti dell’era napoleonica, inizia nello studio dell’avvocato Derville, offrendoci da subito, con la descrizione dettagliata dello studio, degli ambienti, degli impiegati che vi lavorano, dei loro dialoghi, degli atti che si preparano, uno spaccato immediato, visivo, particolareggiato della vita francese dell’epoca, non a caso Honoré De Balzac è ritenuto uno dei fondatori del romanzo moderno, in quanto fa dei suoi racconti uno strumento mirabile con il quale fornisce un’analisi sottile, puntigliosa, sconcertante della società francese dell’epoca, illustra usi, costumi, morale del tempo.
E in questo studio si presenta un uomo di una certa età, in cui è evidente che i fatti certo negativi della sua vita l’hanno letteralmente stravolto e impresso su di lui il loro pesante marchio: è una persona dignitosa ma magra, dismessa, poveramente vestita, fatto oggetto di scherno dagli impiegati, trattato con sufficienza perché presumibilmente non remunerativo per lo studio.
Dotato tuttavia di una certa fierezza, di un certo nobile e disciplinato portamento, e con pazienza e cocciutaggine insieme riesce finalmente a farsi ricevere dal titolare dello studio al quale racconta la propria esistenza.
Questa persona dismessa si rivela in realtà come un personaggio famoso, si tratta, infatti, di una gloria patria, egli è il colonnello Hyacinthe Chabert, uno dei più conosciuti ufficiali dell’esercito napoleonico, apprezzato e ammirato dall’Imperatore stesso, una vera gloria nazionale.
Durante la sanguinosa battaglia di Eylau egli è visto cadere e calpestato dalla cavalleria nemica, e pertanto creduto certamente morto; in realtà il suo cavallo, stramazzato al suolo, l’ha in un certo senso protetto; ma a causa di una grave ferita alla testa, è seppellito vivo in una fossa comune. Qui, con toni sempre più macabri e drammatici, il povero uomo racconta come sia riuscito a sopravvivere, utilizzando gli spazi tra i cadaveri per respirare la poca aria a disposizione, e servendosi dell’arto spezzato di un morto come di una clava riesce a risalire alla superficie, a pezzi, ferito, febbricitante ma vivo.
Da questo momento in poi, il racconto dell’uomo si snoda nei lunghi anni trascorsi a guarire dai guasti fisici e psicologici affrontati, e dall’urto contro l’ostacolo insormontabile che ancora si frappone alla sua completa riabilitazione sociale: il riappropriarsi della propria identità personale. Confusa, incerta e problematica è, infatti, la comprova di quanto affermato: per tutti il colonnello Chabert è morto, il colonnello Chabert è un valoroso ufficiale dell’esercito napoleonico scomparso in battaglia, è scomparso con onore, è certamente scomparso malgrado il suo corpo non sia mai stato ritrovato.
Il colonnello Chabert è morto per tutti, è morto per la sua stessa moglie, la contessa Ferraud, che si è risposata con l’omonimo conte, da lui ha avuto figli, a lui ha portato in dote i beni di Chabert.
Il colonnello Chabert è morto, benché vivo e ben presente davanti a Derville, anche perchè nessun avvocato vuole impegnarsi per un uomo povero che ha ben poche speranze di potersi rivalere in tribunale su personaggi potenti come i conti Ferraud.
Una causa persa, dunque, e per Derville anche un dilemma di natura deontologica, perché egli è anche legale della contessa Ferraud.
Tuttavia Derville è un giovane idealista, egli rappresenta la Francia nuova, la Francia moderna, la Francia rispettosa di ciò che è stato Napoleone e il periodo napoleonico, perciò Derville prenderà a cuore il caso Chabert, presterà del denaro all'eroe decaduto, verso cui nutre un’istintiva fiducia e rispetto, ma nonostante tutto il suo impegno, dovrà fare i conti con le manovre della contessa Ferraud, una donna che non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua nuova posizione, e suscitare scandalo e derisione a Parigi con la storia di una bigamia.
E per raggiungere i suoi scopi, la donna prova a sedurre il vecchio colonnello, perché firmi una rinunzia ai suoi beni, perché rinneghi quanto pretende, perché sparisca dalla sua esistenza, malgrado debba il suo elevarsi sociale proprio al matrimonio con l’eroe di Napoleone.
Il vecchio colonnello si accorge di tali piani, ma benché sdegnato, accetta di andarsene, di sparire di scena, rinuncerà ai suoi diritti, non per mancanza di armi legali, ma per la disillusione nei confronti di un mondo feroce, in cui sente di non aver più posto, un mondo in cui gli ideali di lealtà, onestà, cavalleria, onore sono stati spazzati via dall’egoismo, dalla sete di ricchezza sfrenata, dalla falsità, un’epoca splendida è finita, come è finito Napoleone a Sant’Elena.
Il colonnello Chabert capisce che lui è riuscito a risorgere uscendo tra i cadaveri di una fossa comune, ma ciò che lui rappresenta non risorgerà più, capisce che è per sempre tramontata la grandezza di una nazione, e che termini come lealtà, onore e coraggio abbiano trovato i loro sostituti in denaro, relazioni e menzogna.
E sparisce, termina i suoi giorni in un ospizio, dove lo rincontrerà alla fine Derville, il vecchio colonnello è ancora più vecchio e misero, ma sempre più fiero, dignitoso, ricco di onore.
La storia del colonnello Chabert è quindi la descrizione di una Francia che si risveglia disillusa dopo il sogno napoleonico, anni in cui aveva conosciuto una guerra perenne contro il mondo intero, dal Manzanarre al Reno, ma anche aveva nutrito l'illusione di rappresentare un faro nuovo per l’umanità, di esportare ovunque la luce dei lumi ed i nuovi, ancora velati concetti, in embrione, di libertè, egalitè, fraternitè...
Il risveglio è amaro: la nuova società non è ancora pronta, ella è rappresentata ancora perfettamente dalla contessa Ferraud, è una società che privilegia l'avidità e la rapacità, campioni di essa sono i Ferraud, proprio coloro che meno hanno qualità morali.
In definitiva, con “Il colonnello Chabert” Balzac ci mostra perfettamente i meccanismi che guidano le azioni nella commedia umana.
Commenti
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Nella tua descrizione della disillusione del protagonista ho avvertito l'eco del principe di Salina ("Il gattopardo"): paradossalmente, prima di mollare, quest'ultimo pare aver combattuto di più.