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Il Tartuffo ovvero l'impostore
 
Il Tartuffo ovvero l'impostore 2015-07-30 15:08:20 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    30 Luglio, 2015
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Opera emblematica del rapporto tra arte e poter

"Il Tartuffo", insieme a "L’avaro" e a "Il malato immaginario" rappresenta il vertice dell’opera di Molière, almeno in termini di odierna notorietà e rappresentazione a teatro. E’ uno dei classici teatrali di tutti i tempi, e risulta quindi difficile scriverne qualcosa senza cadere nel banale e nel già detto. Non essendo comunque, a mio avviso, finalità di una recensione qui pubblicata aggiungere elementi di conoscenza critica in senso specialistico (tra l’altro non ne avrei le competenze), quanto piuttosto stimolare i pochi che giungeranno sin qui alla lettura dell’opera, credo sia utile scrivere qualcosa su questo testo immortale, cercando di mettere in evidenza alcuni dei mille motivi per cui Il Tartuffo va assolutamente letto e/o visto a teatro.
Comincio dal motivo più immediato: Il Tartuffo è innanzitutto una commedia vivace e divertente, nella quale si ride di gusto del carattere dei singoli personaggi, dell’ipocrisia di Tartuffo, della stupidità di Orgone, della sagacia di Dorina, della pomposa retorica di Cleante. Il riso è anche provocato (qui la semplice lettura ovviamente non aiuta) della perfezione dei tempi scenici e dal ritmo complessivo della commedia, nella quale sono frequenti raffiche di dialoghi serratissimi. Molière è ovviamente uno degli inventori del teatro moderno, e se si pensa che la commedia è stata scritta nel XVII secolo ci si sorprende ogni volta per la sua strepitosa modernità, tanto che potrebbe benissimo essere stato il soggetto per una commedia cinematografica interpretata da Alberto Sordi.
Ecco: la modernità è secondo me la cifra di Molière e in particolare di questo suo capolavoro: su cosa poggia questa modernità? Solo sulla tecnica teatrale e sulla brillantezza delle battute? Ovviamente no, mi viene da rispondere. Anzi, ritengo che queste componenti siano il necessario risultato (senza dubbio impensabile senza il genio dell’autore) dell’impostazione stessa del teatro maggiore di Molière, che è teatro realista, che trova i suoi spunti nei vizi e nelle convenzioni della società in cui l’autore vive, nelle contraddizioni che l’epoca del Re Sole assommava tra i lasciti di un medioevo feudale e teocratico ormai tramontato, che ancora comunque riverberava di sé le istituzioni secolari ed ecclesiastiche, e la nascente società borghese, che in Francia ci avrebbe messo ancora poco più di un secolo a rivendicare e conquistare un dominio assoluto.
Noi ci divertiamo con il Tartuffo perché lo sentiamo moderno, e lo sentiamo moderno perché percepiamo che ha le sue radici nella capacità di descriverci un mondo che, pur appartenendo ai tempi del Re Sole, ha portato sino a noi molte delle maschere che ci presenta, non essendo cambiati poi troppo i meccanismi del potere, le convenzioni sociali e le contraddizioni che le contraddistinguono (altri direbbero che l’animo umano non cambia nel tempo: io non sono d’accordo, ma questo è un discorso troppo lungo).
Brevemente la storia: in una famiglia parigina è stato accolto un personaggio, Tartuffo, che con atteggiamenti fintamente pii e devoti esercita la sua nefasta influenza sul padrone di casa, Orgone, e sulla madre di questi. La moglie, i due figli ed il cognato di Orgone vorrebbero aprirgli gli occhi, ma abilmente Tartuffo riesce a farsi promettere in sposa la giovane Marianna ed a farsi intestare tutti i beni di famiglia: contemporaneamente tenta di sedurre Elmira, moglie di Orgone. Quando finalmente quest’ultimo si rende conto della meschinità del personaggio, tutto sembra ormai perduto: Tartuffo, ormai padrone di casa, intima alla famiglia di andarsene. Solo l’intervento di un ufficiale mandato direttamente dal Re farà arrestare Tartuffo, che si rivelerà essere un noto truffatore.
La commedia è quindi un attacco diretto alle convenzioni religiose, dietro le quali si mascherano spesso sete di potere e ricchezza e comportamenti privati antitetici a quelli pubblicamente professati: Molière, per bocca di Cleonte, non manca di avvisare lo spettatore di distinguere tra i falsi ed i veri devoti, ma la carica eversiva del testo fu talmente compresa dalle autorità ecclesiastiche dell’epoca che la rappresentazione della commedia fu vietata per lunghi anni.
Per comprendere meglio il clima culturale e politico in cui Il Tartuffo fu scritto, i tentennamenti del Re Sole rispetto alla rappresentabilità dell’opera e le traversie che questa dovette affrontare, è illuminante il bel saggio di Luigi Lunari posto a prefazione dell’ottima edizione BUR (con testo a fronte) che ho letto. In questo saggio viene posto un problema che effettivamente salta agli occhi del lettore: Perché quel finale? Perché in una commedia che fa del realismo la sua cifra, un epilogo talmente irrealistico?
Già il fatto che il Re mandi un ufficiale ad arrestare Tartuffo, avendo compreso l’ingiustizia che questi stava commettendo nei confronti di Orgone e famiglia, suona male: che poi questo momento sia accompagnato da una paginata di lodi sperticate al Re, alla sua saggezza, giustizia e capacità di discernimento sembra introdurre una nota stonata in una partitura pressoché perfetta.
Questo finale, al di là del giudizio di merito che gli si può attribuire, è comunque illuminante del rapporto che esisteva tra l’artista, il teatrante in questo caso, ed il potere assoluto del Re. Molière non avrebbe probabilmente potuto scrivere e rappresentare una commedia nella quale attaccava una parte dell’ordine costituito se non appoggiandosi e dichiarando la sua fedeltà assoluta al potere del sovrano: il finale è quindi il prezzo che l’autore deve pagare per poter dire le cose che dice nelle pagine precedenti, una tattica, ci suggerisce Lunari, che Molière usa per poter portare sino in fondo la sua strategia dissacrante. Lunari, nel saggio citato, va più in là, attribuendo a Molière una sia pure involontaria volontà sarcastica nei confronti del sovrano: in sostanza il finale sarebbe così inverosimile da descrivere in maniera caricaturale lo stesso potere reale. Non so se questo sia plausibile, e lo stesso Lunari avanza questa ipotesi con molti dubbi: quello che è certo è che la Troupe du Roi, la compagnia teatrale ufficiale del Re Sole non poteva permettersi di scrivere una commedia completamente realistica nella quale inevitabilmente avrebbe potuto scorgersi una critica al potere tout-court: era necessario che il potere buono e saggio del Re fosse scisso da quello dei Tartuffi.
Affascinante, a questo proposito, è la vicenda della commedia, che nella sua prima versione – quella di cui fu proibita la pubblicazione – si componeva di tre atti invece dei cinque definitivi: questa prima versione non ci è pervenuta, per cui non sappiamo se in essa il finale lieto fosse già presente, se si trattasse di un testo incompleto (gli attuali primi tre atti) o di un testo che si concludeva con il trionfo di Tartuffo: tutte le ipotesi sono possibili e sono state fatte, ma l’enigma non ha soluzioni certe, anche se Luigi Lunari propende nettamente per l’ipotesi del testo incompleto.
Chiudo con un fatto che mi ha colpito. Durante i quasi cinque anni di divieto di rappresentazione, Il Tartuffo sarà da Molière letto al Cardinale Chigi, rappresentato in privato nel palazzo della Principessa Palatina, rappresentato davanti a Filippo d’Orléans, per due volte davanti al Principe di Condè e richiesto da Cristina di Svezia. Tutti questi aristocratici, che godevano di uno spettacolo che negavano al pubblico, si saranno quanto meno un po’ immedesimati? Io non credo.

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