Dettagli Recensione
Una storia d'altri tempi, di prima della fotocopia
Bartleby lo Scrivano – Herman Melville, 1953
SPOILER
"Per il momento preferirei non essere un po' ragionevole."
Bartleby lo Scrivano, racconto di Herman Melville, letto subito dopo "Moby Dick".
La genialità di Melville, oltre al resto, sta nella sua capacità di descrivere "tipi". Che sia in ritratti lunghi ed articolati, che in quadretti appena sbozzati poco importa.
L'ho visto in Moby Dick e l'ho ritrovato qui, dove l'estro creativo di Melville si cimenta con una storia apparentemente piccola, ambientata prima dell'avvento della fotocopiatrice.
Pare un'osservazione oziosa – e probabilmente lo è - però l'attività di "copiare" in genere si attribuisce ai monaci negli scriptoria medievali, invece, fino a tempi relativamente recenti una fetta di umanità mediamente colta e numericamente non trascurabile si è guadagnata da vivere "copiando" documenti. Tonnellate di carta, fiumi di inchiostro, chilometri di parole, migliaia di mani, penne e pennini.
Certi romanzi non si comprendono se non si realizza che gli autori non abbiamo mai viaggiato in treno. Bartleby lo Scrivano non ci appartiene se non si fa i conti con un'umanità che copia (che responsabilità – che noia).
Dicevo.
Un avvocato, il suo studio, i suoi due impiegati (Pince-Nez e Tacchino), descritti in modo ironico (l'uno affidabile e preciso solo la mattina, l'altro solo il pomeriggio), un giovanissimo fattorino (Zenzero). Ed infine l'arrivo di un terzo impiegato, pallido, sciapo e scialbo in modo singolare, Bartleby.
"Rivedo ancora quella figura: pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida! Era Bartleby."( I can see that figure now — pallidly neat, pitiably respectable, incurably forlorn! It was Bartleby).
Bartleby si presenta come un impiegato modello: il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via (apparentemente), ligio al dovere, praticamente alieno ad ogni sorta di distrazione: copia gli atti legali. Sembra non fare altro. Sembra non volere fare altro. Sembra non amare fare altro.
Forse non sa fare altro?
Bartleby è "un'eterna sentinella nel suo angolo".
Le cose scorrono lisce e piacevoli, fino a che l'avvocato (e voce narrante) non chiede a Bartleby di fare una cosa solo leggermente diversa. Controllare che gli atti copiati da un altro impiegato siano corretti. Una banale revisione, insomma. Quanto di più routinario e banale possa avvenire in un ufficio. Sembra quasi di vedere l'avvocato che porge il plico all'impiegato, senza neppure alzare la testa per guardarlo.
"Era con me, credo, da tre giorni (…) quando, dovendo completare in gran premura una faccenduola, di punto in bianco chiamai Bartleby. Nella fretta e nella naturale aspettativa di un'immediata obbedienza, me ne stavo seduto con la testa china sull'originale posato sulla mia scrivania, la mano destra di lato, nervosamente tesa nel porgere la copia, in modo che, emergendo dal suo cantuccio, Bartleby potesse afferrarla e procedere all'esame senza il minimo indugio.
In questo atteggiamento sedevo dunque quando lo chiamai, spiegando rapidamente quello che volevo da lui, cioè esaminare insieme a me un breve documento.
Figuratevi la mia sorpresa, anzi la mia costernazione, quando, senza muoversi dal suo angolino, con voce singolarmente soave, ma ferma, Bartleby rispose:
"Preferirei di no." "
“I would prefer not to.”
L'avvocato strabilia. E cerca nel volto del suo impiegato tracce di sfida, di rabbia, di impertinenza.
Ma non le trova.
Bartleby "preferisce di no" e ricomincia il lavoro che stava facendo.
Lo stupore è tutto del suo datore di lavoro. Che a lungo si interroga sul da farsi.
E interroga Bartleby.
E interroga gli altri impiegati.
Infine interroga pure il fattorino.
"Penso, signore, che sia un po' sfasato." È quello che riesce ad ottenere.
Osservando il fattorino, però, l'avvocato vede che è quest'ultimo a provvedere ai pasti di Bartleby.
Ogni giorno gli porta alcune focaccine di zenzero. L'impiegato non sembra mangiare altro. Non sembra uscire mai dall'ufficio, non sembra fare nulla, se non lavorare.
L'avvocato ha la tentazione di licenziarlo, ma si fa molti scrupoli.
E una brava persona e Bartleby, a parte le sue idiosincrasie, è un buon impiegato. Affidabile ed instancabile se non gli si chiede di fare cose diverse dal copiare. Decide quindi di mantenerlo alle sue dipendenze e di continuare ad osservarlo e a cercare di capirlo.
"Era, infatti, oltremodo difficile tenere sempre a mente quelle strane abitudini, quei privilegi, quegli inauditi esoneri, che costituivano il tacito patto in base al quale Bartleby rimaneva nel mio ufficio. Di tanto in tanto, nella fretta di sbrigare un affare urgente, senza pensarci chiamavo Bartleby in tono secco e spiccio a mettere un dito su un pezzo di nastro rosso che ero in procinto di annodare per tenere insieme certi documenti. Superfluo dire, naturalmente, che da dietro il paravento veniva la consueta risposta: Preferirei di no."
La situazione si complica quando, per puro caso, l'avvocato si accorge che Bartleby non è "il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via", ma che, di fatto, VIVE nell'ufficio.
Dapprima commosso dalla completa solitudine ed infelicità dell'uomo, poi ulteriormente perplesso dalla sua stranezza (Bartleby non parla, se non gli si rivolge la parola, non legge, se non le pratiche legali che deve copiare, non mangia se non le focaccine di zenzero etc), l'avvocato non sa che fare.
Ha pietà di Bartleby, ma in qualche modo sa di non comprenderlo e desidera allontanarlo da sé.
Per un essere sensibile la pietà non di rado è sofferenza. E quando alla fine si intuisce che tale pietà non si traduce in un efficace soccorso, il senso comune impone all'animo di sbarazzarsene.
Quanto vidi quella mattina mi convinse che lo scrivano era vittima di un disordine innato ed incurabile. Avrei forse potuto soccorrere il corpo, ma non era il corpo a dolergli; era la sua anima che soffriva, e non potevo raggiungere la sua anima.
Infine, l'avvocato decide di licenziare Bartleby.
Lo fa da brava persona quale è, con un preavviso e una certa "liquidazione".
Ovviamente Bartleby "preferisce di no" ("preferirei non lasciarla", dice, in realtà) e il giorno successivo al suo programmato "sgombero" è come sempre in ufficio. Altri tentativi vanno completamente vuoto.
Preso quasi dal panico, l'avvocato decide di traslocare in un altro ufficio.
Sinceramente addolorato, al momento di lasciare l'ufficio e il suo ex impiegato.
"Addio Bartleby, me ne vado… Addio e dio la protegga in qualche modo. Prenda.", facendogli scivolare qualcosa in mano. Ma fin a terra e allora – strano a dirsi – dovetti fare uno sforzo e strapparmi da lui, e sì che avevo tanto desiderato sbarazzarmene.
La cosa funziona, e finalmente il principale si libera del suo bizzarro ex-dipendente.
Ma non dalla sua ossessione.
Viene a sapere che l'ex-impiegato continua a vivere nel palazzo, e il proprietario si rivolge a lui in un estremo tentativo di far ragionare lo scrivano.
L'avvocato corre al suo ex ufficio e trova subito l'ex dipendente
"Cosa fa qui, Bartleby?"
"Sto seduto sulla ringhiera."
L'avvocato cerca di aiutarlo, si offre persino di ospitarlo a casa proprio, ma Bartleby risponde:
"No, preferirei non fare cambiamenti."
"No, per il momento preferirei non cambiare nulla."
Non tutti si fanno gli scrupoli dell'avvocato e l'epilogo è che il nostro scrivano finisca in prigione per vagabondaggio. Informato della cosa, l'avvocato si precipita a trovarlo e corrompe un secondino affinché il suo ex impiegato abbia un trattamento di riguardo e vitto adeguato.
Ma Bartleby preferisce "non pranzare".
L'uomo che non parla, l'uomo che vive senza mangiare, così lo definiscono i secondini.
Quando l'avvocato lo va nuovamente a trovare lo trova silenziosamente e dolcemente morto nel cortile, del carcere.
«Il faccione rotondo del vivandiere sbucò dietro di me.
"Il suo pranzo è pronto. Neanche oggi vuole mangiare, eh? E che? Vive senza mangiare?"
"Vive senza mangiare." dissi e gli chiusi gli occhi.
"Ehi! Dorme, eh?"
"Con i re e i consiglieri." mormorai.»
Neppure la morte mette a tacere l'ossessione dell'avvocato per il suo scrivano, ma le sue ricerche hanno scarno esito. Tutto quello che riesce a sapere, ma senza certezze, è quale fosse l'impiego precedente di Bartleby.
Bartleby era stato un impiegato subalterno nell'ufficio delle lettere smarrite a Washington.
E come già osservò Alessandro Baricco, nel 1993, a Pickwick, questo non dice molto, ma fa capire tanto.
In realtà si potrebbe osservare che probabilmente Bartleby è uno dei primi casi descritti di Sindrome di Asperger, di cui ha tutti i tratti, ma aggiungerebbe assai poco alla narrazione e niente alla riflessione che invita a fare Melville, nel finale.
(…) a fatica riesco a esprimere le emozioni che mi pervadono. Lettere smarrite, lettere morte! Non suona come uomini morti? Pensate a un uomo, per natura e sventura, incline a una languida disperazione: esiste un lavoro più adatto ad accentuarla che maneggiare continuamente queste lettere morte e metterle in ordine per darle alle fiamme? Ogni anno ne vengono bruciate a carrettate. Qualche volta dal foglio piegato il pallido impiegato estrae un anello – il dito al quale era destinato, forse, imputridisce nella tomba; una banconota inviata in un moto di pronta carità… e colui che ne avrebbe tratto sollievo non mangia più e non soffre più la fame; parole di perdono per coloro che morirono nello sconforto; di speranza per coloro che morirono disperati;buone nuove per coloro che morirono soffocati da sventure inconsolabili. Apportatrici di vita, queste lettere rovinano verso la morte.
O Bartleby! O umanità!
PS. Opera di prima della fotocopiatrice, si diceva, "Bartleby lo Scrivano". In omaggio agli Scrivani, americani, fiorentini e dell'universo mondo, tutte le citazioni di oggi da Melville non son copiincollate, as usual, ma copiate a mano (a tastiera, a dire il vero).
Esercizio salutare, di tanto in tanto (NdAnna).