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“Alla fine ci si abitua a tutto”
“Lo straniero” di Albert Camus nella nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni è introdotta da Roberto Saviano (“Camus è straniero a tutto. Alla sua terra d’Algeria che lo considera straniero, alla Francia che lo considera algerino, ai comunisti che lo considerano un reazionario, ai conservatori che lo considerano un comunista”), che evidenzia la progressione del senso di estraneità del protagonista rispetto a una vicenda che lo vede più spettatore che soggetto attivo (“Camus è riuscito in un’impresa impossibile: quella di descrivere l’esistenza come qualcosa che accade”), in assoluta sintonia con l’esistenzialismo di Camus (“A Stoccolma, nel 1957, in occasione della consegna del Premio Nobel… pronunciò… Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre”).
La prima parte dell’opera pone le premesse che poi troveranno estreme conseguenze nella seconda.
Meursault partecipa, interdetto e stranito (“…Non sapevo il numero esatto di anni”), alla veglia e al funerale della madre presso la casa di riposo che la ricovereva (“Per non sbagliarmi gli ho detto una sessantina d’anni…”). Poi trascorre un’ordinaria domenica con l’amica, nell’assoluta normalità di una giornata qualsiasi (“Marie mi ha insegnato un gioco. Nuotando bisognava bere la schiuma della cresta dell’onda, trattenerla in bocca e poi mettersi sul dorso per spruzzarla contro il cielo. Questo produceva una gala schiumosa che in parte si scioglieva nell’aria e in parte ricadeva sul viso come una pioggia tiepida”). L’impiegato si lascia quindi trasportare dagli eventi e dai rapporti con un vicino ambiguo, giungendo a compiere un delitto assurdo su una spiaggia.
Nella seconda parte, il protagonista “assiste” ai suoi interrogatori, risponde in modo distaccato alle domande (“Gli ho raccontato quello che gli avevo già detto: Raymond, la spiaggia, il bagno, la zuffa, di nuovo la spiaggia, la piccola fonte, il sole e i cinque colpi di pistola”) di un giudice prevenuto (“Per oggi è finita, signor Anticristo”), non sconfessa né i gesti della vigilia (“D’altronde, capita a tutte le persone normali di augurarsi in qualche modo la morte dei propri cari”) né il delitto (“Ho detto che più che rimorso vero e proprio provavo una certa noia”). “Non ero particolarmente pentito del mio gesto”: naturalmente questo atteggiamento non gli giova (“A poco a poco… il tono degli interrogatori è cambiato. Sembrava che il giudice non s’interessasse più a me…”).
Intanto Meursault vive la prigionia, sperimentando in modo asettico la perdita della libertà (“All’inizio della detenzione, in realtà la cosa più dura era che avessi pensieri da uomo libero”).
Mantenendosi sempre più spettatore che protagonista anche in tribunale (“Mi ha fatto pensare a quelle feste rionali in cui, dopo il concerto, si sgombra la sala per poter ballare”), l’imputato partecipa con terzietà aliena al processo (“Le cose che diceva erano plausibili”), ascolta la sentenza di condanna, vede profilarsi la pena (“Altre volte… elaboravo progetti di legge. Riformavo il codice. Avevo notato che l’importante era dare una possibilità al condannato… la ghigliottina non dava nessuna possibilità…”), riflette sugli strumenti della giustizia (“La macchina raffigurata nella foto mi aveva colpito per il suo aspetto di strumento di precisione, rifinito e luccicante… ancora una volta la meccanica annientava tutto: si veniva uccisi in modo discreto, con un po’ di vergogna e molta precisione”), rifiuta i conforti del cappellano e giunge a riflessioni conclusive (“Come se i percorsi familiari tracciati nei cieli d’estate potessero portare tanto alle prigioni quanto ai sonni innocenti”) e paradossali (“… Mi rimproveravo di non aver prestato sufficiente attenzione ai racconti di esecuzioni capitali”).
Il romanzo è davvero un capolavoro, mi lascia incantato ogni volta che lo leggo e ogni volta scopro implicanze e significati nuovi, che si arricchiscono con il fluire delle esperienze personali (ovviamente di carattere esistenziale, non giudiziario!).
Bruno Elpis
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Commenti
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Ordina
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Proponi situazione che a me paiono assurde...e nella loro stranezza..."vere".
Ciaooo
Pia
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