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Tre stazioni per il patibolo
“Tutto è prigione attorno a me; ritrovo la prigione sotto tutte le forme, sotto forma umana come sotto forma di cancello o di catenaccio. Questo muro, è prigione di pietra; questa porta, è prigione di legno; questi secondini, sono prigione in carne e ossa. La prigione è una specie di essere orribile, completo, indivisibile, metà casa, metà uomo. Sono in sua balia: mi cova, mi avviluppa con tutte le sue pieghe. Mi racchiude nelle sue pareti di granito, mi chiude a chiave con le sue serrature di ferro, e mi sorveglia con i suoi occhi da carceriere. Ah! Miserabile! Che cosa sarà di me? Che cosa mi faranno?”
Bicetre, la Conciergerie, la Greve. Tre tappe verso l'esecuzione capitale.
Bicetre era ospizio per vecchi ed alienati (tanto che di qualcuno che compia un atto insensato ancora si dice in Francia: “è scappato da Bicetre") ma anche prigione sita nel dipartimento della Senna.
La Conciergerie è l'antico carcere di Parigi ubicato nel palazzo di giustizia omonimo, dove venivano incarcerati per breve tempo i condannati a morte prima di essere giustiziati.
La Greve è la piazza dove nel giorno stabilito viene montata la “creatura” del dottor Guillotin, e la folla si assiepa festante per vedere la lama cadere e la testa cascare.
“L'ultimo giorno di un condannato a morte” è la narrazione in prima persona di queste tre tappe, fatta da un carcerato che si avvicina sempre più alla fine. Narrazione della propria pena, dunque; ma anche narrazione della prigionia in uno spazio buio e angusto, delle procedure umilianti e impietose della burocrazia carceraria, di isolati lampi di umanità e dei diversi modi in cui (almeno in apparenza) ogni condannato vive i suoi ultimi giorni.
Sull'assurdità della pena di morte è stato detto e scritto: sono numerosissime le opere letterarie, teatrali e cinematografiche che ne parlano.
La visuale scelta da Hugo non è quella, astratta, di Cesare Beccaria, che spiega in punto di diritto l'errore insito nella “morte di Stato”. Nemmeno è quella del film “Dead man walking” – diretto da Tim Robbins – che punta i riflettori sulla procedura attraverso cui alcuni Stati americani amministrano la pena di morte (con la ridicola pretesa che in tal modo essa sia legittimata, mentre sempre e soltanto di giustiziare un essere umano si tratta).
Con quest'ultimo film, il pamphlet di Victor Hugo ha in comune l'importante presupposto: il condannato è colpevole (il libro fa solo intuire che ha compiuto un omicidio, in quanto egli stesso parla di un fatto di sangue). Ciò che rende possibile allo scrittore francese far intendere come la pena di morte non sia ingiusta per l'innocente e proporzionata per il colpevole: essa non ha alcuna reale giustificazione giuridica ed è dunque inattuabile da uno Stato democratico.
Ma prima ancora è disumana. Difatti il punto di vista del racconto è il dolore, lo smarrimento, la pena di un uomo al quale la fine è nota: le settimane che lo separano dall'esecuzione non sono un'ultima occasione, ma la vera sofferenza che gli viene inflitta. Un'idea che il romanziere francese riesce a far risaltare ancora di più nei pochissimi incontri che il condannato ha in carcere con altri uomini: il prete che riconosce come un ennesimo burocrate anziché come un umile intermediario della misericordia di Dio, il vecchio che lo seguirà verso l'esecuzione ed al quale regala la propria redingote più per paura che per compassione, e così via.
Togliete a vita la libertà ad un uomo e ancora gli resterà qualcosa, sembra dire Hugo. Toglietegli la speranza, e davvero gli avrete preso tutto.
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Commenti
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il tema è molto interessante ed è stato trattato da diversi autori e saggisti
appena posso leggerò anche il punto di vista espresso da Hugo
Si, Emilio: sono d'accordo con te sia sul profilo della grande letteratura che sull'innegabile "altezza" della questione.
Ciao Silvia: quello di Hugo è un libro "snello" quanto profondo. Assolutamente da consigliare, a tratti commovente.
Grazie, Annamaria. Ho la fortuna di essermi interessato in passato a questa questione e dunque di aver letto e visto tanto. Ma c'è ancora tantissimo da leggere sul tema. "Le menzogne della notte" di Gesualdo Bufalino è ad esempio un libro che consiglierei come "diversivo", nel senso che ha un approccio puramente "romantico" al discorso della pena di morte.
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Complimenti.
Federica