Dettagli Recensione
Che sarà?
Quando sei al cospetto di un bel libro, lo respiri subito: basta l’incipit e sai già di essere in buone mani.
La prosa ti accarezza, la storia ti fa dimenticare il presente, la narrazione ti avvolge in modo tale da sentirti tu stesso partecipe degli eventi.
Quando un autore ha la capacità di trasferire nel lettore la sua potenza creatrice portandoti dentro un mondo e facendotelo vivere, allora sai che puoi stare comodo nella tua poltrona, nel tuo letto, nella tua nicchia e mettere in moto la tua capacità di immaginare, così come l’autore vuole che sia.
E allora si sale in carrozza, si percorre il Ring, si entra a Schönbrunn, si parla con l’imperatore, si vive l’impero dagli eventi di Solferino all’inizio della prima guerra mondiale e si vive e si invecchia dentro un mondo bellissimo e in decadenza.
L’ottica è rovesciata rispetto a quella derivata dallo studio dei classici manuali di storia: la battaglia di Solferino è l’inizio della decadenza, per noi un traguardo dell’Unità nazionale, il triestino è l’ultimo dei sudditi, per noi oggi un connazionale, i moti del ’48 e le successive battaglie per il riconoscimento dei basilari diritti una conquista civile, là una noia da risolvere.
Burocrazia, efficienza, lustrini, uniformi, regolamenti: un apparato militare che incarna la grandezza dell’impero ma che è ormai svuotato del suo compito e che non ha più senso di esistere in un inatteso tempo di pace che all’insaputa di molti ma non di tutti anticipa la più feroce delle guerre tale da cancellare lo stesso sdegno che portò alla nascita della Croce Rossa sul campo di Solferino.
Nuovi nobili ascendono i gradini della scala sociale che non permette e non riconosce alcuna mobilità come non la si riconosce al più indomito pelo che non segue la linea delle fedine, poco importa se esse sono argentate e fuori moda, il segno dei tempi avanza oltre un ritratto, oltre il limite del più controllato confine, oltre l’identità sovranazionale in disfacimento. Galizia, Ungheria, Boemia, domini oltralpe: il tempo muta gli uomini e li riaggancia alla loro identità, nazionale questa volta.
L’eroe di Solferino lascia il passo al figlio Franz ma ne detta la cadenza: lo allontana dall’esercizio militare, ne fa un servitore reverenziale della patria e del suo imperatore e del suo apparato burocratico. La nomina nobiliare porta una famiglia modesta di Sipolje, in Galizia, a tradire la sua discendenza, l’eroe non lo farà. Lo stesso Franz governerà la vita del figlio Carl Joseph, invano. Niente è più governabile meno che mai i figli.
Leggere la “Marcia di Radetzky” è come rivalersi di quel senso di delusione provato nel vedere la Vienna di oggi. Visiti il palazzo di Hofburg, passeggi nel Ring e ti senti male perché la macchina del tempo non funziona. C’è ancora tutto: stanze private, edifici suntuosi, giardini immensi ma non lo splendore, l’essenza, la profonda appartenenza all’epoca storica. Aleggia un fantasma a Vienna: il respiro di un’epoca che non c’è più e che, con tutti i suoi limiti e le sue grandezze, dovette essere bellissima. Sono nostalgica io, immaginatevi Roth la cui vita fu segnata da questo periodo di passaggio, lui nato e cresciuto, come tutti i sudditi, “sub auspiciis Imperatoris”. Noi sappiamo, forse, quel che è stato, noi conosciamo ciò che ne è derivato.
Addio Ottocento, il Novecento incalzante e breve è seppur passato, a cavallo di due secoli ci siamo noi. Che ne sarà? Quanto può essere attuale il sentimento del tempo che fu e la paura del domani!
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Ferruccio
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Federica