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«A me la vendetta, io farò ragione»
Anna Karenina è uno dei miei libri preferiti, se non il preferito in assoluto, eppure sono sempre stata restìa al recensirlo, come se non si potesse esprimere sul serio, a parole nostre, la grandezza di questo immenso capolavoro.
Ma ci proverò ugualmente, come altri prima di me.
[il testo contiene spoiler]
Ovviamente, dire che "Anna Karenina" è una storia d'amore, non solo risulterebbe riduttivo, ma anche immensamente svilente nei confronti del romanzo e del suo autore. "Anna Karenina" è, sì, amore - in un certo senso -, ma anche società, politica, etica, religione, è il contrasto tra opposti che sembrano simili, l'eterna lotta tra ciò che dovrebbe essere e ciò che, invece, è.
Tolstoj crea un universo in cui spiccano i due indiscussi protagonisti, Anna e Levin, ma in cui ogni singolo personaggio trova la sua sublime e puntuale giustificazione, come in un organismo perfetto che funziona solo in base ai reciproci rapporti di tutte le sue parti.
Non intendo analizzare un concetto ormai trito, rispetto a questo romanzo, e cioè la questione di Levin come alterego di Tolstoj. E', per l'appunto, Levin, un personaggio nato ai margini della storia e che durante la stesura del romanzo acquista sempre più spazio, mano a mano che l'autore si avvicina a quegli anni che lo porteranno ad abbandonare le grandi narrazioni di "Guerra e Pace" e di "Anna Karenina" in virtù dell'interesse per il Divino e dei i suoi rapporti con la religione e con l'ordine costituito. Di fatto, le successive opere di Lev Tostoj, perseguitato e censurato, tenteranno di trovare quella terza via nel tolstojismo, il fenomeno che si pensava avrebbe dato vita ad una religione a sè stante.
E forse, la vicenda di Levin - messe da parte le implicazioni amorose che acquistano valore forse solo per contrasto, ovverosia paragonandole a quelle totalmente opposte di Anna e Vronskj - finisce con l'assumere i connotati di un saggio all'interno della storia, popolata com'è da disquisizioni etiche e politiche lunghe intere pagine. Una sorta di flusso di coscenza che s'alterna alla narrazione, una sorta di preludio alla svolta letteraria tolstojana, ormai alle porte.
In Levin, sì, l'autore traspone tutto sè stesso. Ma forse la vera grandezza di Tolstoj risiede in quelle associazioni meno immediate, nei tratti biografici che è possibile scorgere anche in un personaggio come il Conte Vronskij, quell'ufficiale affascinante prima quanto tedioso poi, ordinario sia nei vizi che nelle virtù, a cui sembra difficile, se non impossibile, associare quella mente moraleggiante e irreprensibile che, di fatto, l'ha partorito.
Eppure in Vronskij è possibile scorgere quel Tolstoj/Levin ancora impergolato nei meccanismi sociali, meccanismi che sembrano stargli stretti ma di cui si nutre e in cui trova la sua definitiva e inappellabile raison d'etre.
Vronskij sembra insofferente a tutto questo, un animo che sembra condividere almeno in parte le ragioni di Anna, ma che in definitiva agisce in assenza di quel vero tormento e di quelle profonde motivazioni che invece animano la sua amante. La sua "sovversività", la ribellione manifestata nell'interstardirsi nel rapporto con Anna, è una sorta di "sovversività alla moda". Egli gode narcisisticamente del frutto proibito e, quando la storia si fa trita, la situazione, all'inizio eccitante ed emozionante, gli viene a noia. Sul finire del romanzo, un attimo prima della tragedia, Vronskij torna alle sue sale da ballo, ai suoi aristocratici teatri, ai suoi tavoli da poker. E solo allora Anna si rende conto d'essere sola e di esserlo sempre stata, se non nelle azioni, sicuramente negli intenti e nei sentimenti.
Chi non ha saltato a piè pari le note biografiche, può apprendere come l'autore stesso avesse prestato servizio militare, facendosi corrompere dal molliccio ambiente degli ufficiali "del disimpegno" e contraendo una serie infinita di debiti a causa del gioco d'azzardo. Affascinato anche lui da una donna sposata, ebbe un figlio che si rifiutò di riconoscere.
Tolstoj è Vronskij, Tolstoj è levin: lo spartiacque è quella Rivelazione religiosa che assume i connotati di una vera e propria rinascita.
Anche l'associazione tra Anna e Kitty non è facile, eppure risulta quasi evidente, una volta che ci si sofferma a riflettere.
Kitty è giovane e bella e il radioso futuro che le si prospetta dinanzi sembra essere smembrato dall'operato di Vronskij, che gioca con lei prima di conoscere Anna e che, comunque, anche prima dell'avvento di quest'ultima, non aveva mai avuto intenzione di chiederla in moglie. Spinta dalla madre, rifiuta la proposta di Levin, che invece nutre per lei un amore puro.
Ma perchè il rifiuto? Levin s'era già presentato a corte mesi prima con l'intenzione di dichiararsi; alla fine, insicuro e incredulo circa un possibile futuro con lei, era tornato alla sua tenuta in campagna senza una parola. Questo provoca l'avversione della madre di Kitty e il consequenziale rifiuto, nonostante la fanciulla avverta, in cuor suo, di poter amare quell'uomo. E' la "catastrofe". Vronskij parte con Anna per San Pietroburgo e Kitty, provata dall'umiliazione, cade in depressione. I medici le consigliano di trasferirsi per un periodo all'estero.
Dinanzi a lei si prospetta un futuro di cinismo, finchè il provvidenziale intervento di Veronika, una giovane pia, la rimette sulla retta via, suggerendole una Rivelazione che per portata è inferiore a quella di Levin ma che ha lo stesso impatto benefico, spazzando via la possibilità di ritrovarsi, 15 anni dopo, a confluire in quel personaggio che è Anna.
In Kitty scorgiamo una giovane Anna a cui la vita ha concesso la pace e il lieto fine, ma che se privata di tali e tante concessioni, forse si sarebbe trasformata in quella donna che tanto la disgusta.
Cosa sarebbe accaduto se Vronskij l'avesse sedotta e abbandonata, come era sua intenzione fare?
Cosa sarebbe accaduto se Kitty non avesse incontrato Veronika?
Anna altro non è se non la personificazione dell'alternativa più buia, un miscuglio di casuali fatalità e scelte sbagliate che l'hanno condotta sulla soglia di questa storia ormai priva di qualsivoglia etica o morale, preda del tormento, dell'ossessione e dell'insoddisfazione.
Cosa sarebbe accaduto però se la giovane Anna avesse incontrato e sposato l'amorevole Levin invece di contrarre quel matrimonio senza amore con quel burocrate privo di vita che è Karenin?
La concatenazione dei personaggi risulta evidente. Curiosamente, ognuno è legato all'altro da una scelta non compiuta, da un destino che non gli è toccato in sorte ma che è stato, anche solo per un breve attimo, nell'universo delle possibilità.
Intanto, il protagonista invisibile della narrazione è la società, intesa come organo che pensa, agisce e giudica in maniera univoca. E' la società il giudice parziale della storia, quel giudice che porta Anna alla ghigliottina.
Ciò che risulta agghiacciante, all'interno dell'analisi tolstojiana, non è tanto che si ricusi un atto come l'adulterio, quanto che si ricusi la sincerità con cui Anna lo affronta, senza nascondersi, senza mentire al marito, senza lasciarsi intimidire dalla possibilità del divorzio e della rovina sociale. Anna non si lascia spaventare. E' questo il suo fatale errore.
Il romanzo si apre col racconto di un'altro adulterio, un'anticipazione: quello del fratello Stiva nei confronti della miglie Dolly, sorella di Kitty. Stiva viene scoperto in flagranza di reato, eppure Dolly, terrorizzata all'idea di restare sola, all'idea d'essere umiliata con un divorzio, non pensa mai realmente di lasciare il marito e condanna sè stessa ad una vita di repressione e dipendenza. Questo è ciò che la società accetta, questo è ciò che è considerato lecito.
Anna si rifiuta di farlo, crollando in un turbinìo di fustigazioni pubbliche e sociali che, unite alla sempre maggiore indifferenza di Vronskij, la conduce a compiere il gesto estremo.
Personaggio controverso, autodistruttore e meschino, il suo suicidio, più che il desiderio di porre fine alla propria vita, rispecchia quel grido di vendetta che si legge nella mente di Anna mentre s'accosta alla sua fine.
Vendetta, affinchè Vronskij e tutti gli altri debbano per sempre portarla sulla coscenza.
Dunque, se è vero che Tolstoj condanna Anna per il suo operato, è vero anche che tale condanna si estende alla società, perchè entrambi, a modo loro, si arrogano il diritto di risolvere questioni morali che non gli competono (la prima col suicidio, la seconda con l'emarginazione).
«A me la vendetta, io farò ragione» , è la citazione biblica posta in nuce al romanzo e che ne esprime il senso.
E' Dio l'unico e il solo giudice e legislatore.
Cos'altro aggiungere? "Anna Karenina" è un universo ammaliante e affascinante che vale la pena di contemplare coi propri occhi.
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Commenti
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Condivido la sottolineatura che indica il romanzo come qualcosa che va ben oltre la storia d'amore.
Grazie per il commento!
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In fondo, il romanzo è pieno di spunti che ci ricordano che il confine tra bene e male è spesso labile, molti dei personaggi non non finiscono di pensare o dire una cosa e subito fanno esattamente l'opposto. Insomma, ce n'è per tutti: per chi è troppo frivolo, leggero, irresponsabile, ma anche per chi è duro di cuore, intransigente, sostanzialmente ipocrita e fariseo.