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Il folle invalido di Fort Ratonneau
 
Il folle invalido di Fort Ratonneau 2015-03-24 11:47:05 viducoli
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
viducoli Opinione inserita da viducoli    24 Marzo, 2015
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Appassionato assertore del compromesso....

...tra aristocrazia al potere e grande borghesia (Attenzione: anticipazioni sulla trama)

Questo bel volume delle Edizioni Studio Tesi, ancora disponibile per l’acquisto, ci propone un famoso racconto di Achim von Arnim, oltre a due brevi saggi, dei quali di particolare importanza per comprendere la posizione dell’autore rispetto alla figura di Napoleone è l’altrettanto famoso Che fare nella fortuna.
Von Arnim è un autore oggi forse un po’ dimenticato rispetto ai mostri sacri del primo romanticismo tedesco: nondimeno fu uno dei principali animatori del movimento, frequentando tra gli altri von Kleist, Goethe, Hölderlin, i fratelli Grimm e Clemens Brentano, di cui sposò la sorella Bettina. Insieme a Brentano scrisse uno dei testi fondamentali di quel filone del romanticismo che andava alla ricerca di fiabe, canti e storie popolari: Il corno magico del fanciullo.
"Il folle invalido di Fort Ratonneau" è un breve racconto (meno di trenta pagine in questa edizione) che, oltre ad essere esteticamente pregevole ed avvincente, racchiude una serie di elementi utili per comprendere il pensiero dell’autore rispetto ai tempi in cui viveva, tempi drammaticamente segnati dalla lotta tra la Francia napoleonica, portatrice – sia pur tra mille contraddizioni e tradimenti – degli ideali borghesi della rivoluzione, e le altre monarchie europee che miravano a restaurare l’ordine sociale aristocratico prerivoluzionario.
Von Arnim è profondamente antinapoleonico, e si impegna a fondo, con l’amico Kleist, in campagne di stampa per basare il contrasto all’avanzata delle armate francesi sulla costituzione di un autentico spirito nazionale tedesco, incarnato nella monarchia prussiana. Tuttavia, per quanto a mio avviso emerge chiaramente dalla lettura del citato saggio Che fare nella fortuna, non è ottusamente reazionario, non vagheggia un impossibile ritorno al passato. Dice von Arnim all’inizio di queste poche pagine, scritte di getto nel 1806 e quindi nel pieno delle campagne napoleoniche:
"Napoleone ha colto lo spirito del più grande movimento popolare del nostro tempo, – la rivoluzione francese . Lo spirito lo protegge se Napoleone lo segue; può essere sconfitto, alla fine vincerà."
Von Arnim è quindi pienamente consapevole che la Rivoluzione ha espresso lo spirito dei tempi, e nelle pagine seguenti propone ai governanti europei che – una volta sconfitto lo straniero invasore – gli stati sappiano assorbire le nuove idee portate dalla rivoluzione attraverso nuovi ordinamenti, che giungano sino a riconoscere il diritto delle nazioni all’autodeterminazione (vengono emblematicamente citati, tra gli altri, i casi della Polonia e dell’Italia) nell’ambito però di un ordine garantito, che sappia conservare precisi valori di gerarchia sociale. Dice ancora von Arnim: "…ciò che voleva la rivoluzione deve diventare comune e ciò che aveva di solo umano deve perire, si deve rendere libera la forza innata individuale di ogni singolo, senza rompere i legami famigliari, non ci devono essere province appartate, segregate per caso, che quelle unite nello stesso governo, non deve esistere ciò che non ha forza."
Von Arnim è quindi il lucido precursore di quello che effettivamente avverrà nel corso del XIX secolo, cioè l’innesto delle istanze borghesi relative alle libertà individuali nel corpus degli stati aristocratici, e l’aggregazione di questi ultimi in stati nazionali al fine di garantire dimensioni dei mercati adeguate alle necessità di sviluppo dei commerci. E’ l’appassionato assertore del compromesso tra aristocrazia al potere e grande borghesia, compromesso che può garantire alla prima la conservazione dei privilegi ed alla seconda il reale dominio sulla società e sull’economia. Perché questo accada nella sua Germania, von Arnim sa che è innanzitutto necessario che la Prussia assuma un ruolo egemone, aggregando i piccoli regni tedeschi (le province appartate) e che assuma i valori borghesi come base del nuovo patto nazionale.
Da un punto di vista politico, di comprensione del pensiero di von Arnim, che si rivela un vero e proprio "intellettuale organico", come del resto lo spirito del tempo richiedeva, le cinque pagine di "Che fare nella fortuna", con il loro stile di scrittura confuso e concitato, sono il vero fulcro del volume, e forse andrebbero lette prima di affrontare il racconto che gli dà il titolo.
"Il folle invalido di Fort Ratonneau" è pubblicato nel 1818: Napoleone è ormai da tre anni a Sant’Elena, il Congresso di Vienna ha ristabilito (sia pure apparentemente e in maniera estremamente precaria, come la Storia si incaricherà di dimostrare di lì a pochi anni) l’ordine prerivoluzionario, e von Arnim, con questo racconto-apologo ambientato durante una guerra combattuta attorno al 1755 tra Francia e Prussia, si riaggancia, sia pure in forma letteraria, alle idee espresse nel saggio pubblicato dodici anni prima, per riconfermarle in un momento in cui sembrava non potessero avverarsi.
Protagonista del racconto è il sergente Francoeur (già nel nome emblematico: cuore francese) che, a seguito di una ferita alla testa durante una battaglia, si comporta in modo folle ma estremamente coraggioso. Veniamo a sapere all’inizio del racconto che mentre era ferito, a Lipsia, è stato curato da una ragazza tedesca che poi lo ha sposato. Tornati in Francia, a Marsiglia, la ragazza, che gli ha dato un figlio, prega il comandante del marito di assegnare al marito un compito che lo sottragga dall’ostilità dei compagni d’armi, che lo considerano un pazzo. Il comandante, conoscendo il valore – sia pure eccentrico – di Francoeur, gli assegna il comando di un piccolo forte all’imbocco del porto di Marsiglia, dove avrà solo tre uomini ai suoi ordini.
Nei primi giorni le cose vanno bene, ma presto Francoeur si convince (naturalmente errando) che la moglie lo tradisce: si barrica quindi nel forte tenendo sotto tiro con i suoi cannoni il porto, la cui attività viene bloccata. Quando i cittadini di Marsiglia, che hanno visto i loro commerci fermarsi, chiedono al comandante di riconquistare il forte con le sue truppe, questi acconsente che la moglie faccia un ultimo tentativo di far rinsavire il marito. Ella si presenta sola sotto le mura del forte e quando sembra che Francoeur stia per sparare la salva che avrebbe ucciso la moglie, una improvvisa crisi di coscienza lo fa rinsavire: esce dal forte, ed abbraccia la moglie: il medico che gli fascia la ferita al capo riesce ad estrargli una scheggia d’osso che causava la sua follia… e vissero felici e contenti.
Il carattere di apologo del racconto secondo me emerge da moltissimi elementi. Il protagonista è francese e la sua follia si manifesta come sovvertimento dell’ordine militare. Questo sovvertimento, però, è funzionale a raggiungere risultati militari importanti: solo in preda alla follia, veniamo a sapere, Francoeur ha potuto durante un’azione sbalzare di cavallo il suo capitano, che aveva ordinato la ritirata, e conquistare una batteria nemica. La moglie che lo fa rinsavire è tedesca, e di cognome fa Lilie (il giglio è simbolo della Francia). La follia di Francoeur, se all’inizio è stata accettata perché foriera di coraggio, non è più tollerabile quando minaccia l’ordine economico di una città; il comandante tuttavia si rifiuta di riconquistare il forte con le armi, ed affida alla moglie tedesca il compito di ristabilire l’ordine con la forza della comprensione. Si ritrovano quindi appieno nel racconto, anche se in forma traslata, i concetti che abbiamo visto espressi in forma diretta nel saggio Che fare nella fortuna.
Il volume è completato da una bella introduzione di Hartmut Retzlaff, che pone l’accento su altri elementi interpretativi del racconto, sicuramente altrettanto (se non maggiormente) importanti.
In definitiva, un ottimo volume, molto curato, che attraverso l’intelligente accostamento di scritti diversi ci permette, in poche pagine, di addentrarci nel pensiero di uno dei più importanti rappresentanti del romanticismo tedesco e di leggere un bel racconto.

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I romantici tedeschi
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Commenti

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Vittorio, la tua recensione è veramente molto interessante, così ricca di dettagli, con un utile inquadramento storico-politico.
L'autore è forse tra gli avi di famiglia della nota scrittrice Elisabeth Von Arnim ?
In risposta ad un precedente commento

24 Marzo, 2015
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Ciao Emilio.
Non credo ci siano parentele, perché l'autrice era australiana e il suo uno pseudonimo: non so se lo adottò per ammirazione nei confronti del grande romantico.
Grazie, Vittorio.
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