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Tra Nietzsche e Schopenhauer
Possiamo ragionevolmente considerare “I Buddenbrook” di Thomas Mann l’opera più rappresentativa della crisi esistenziale dell’uomo borghese dei primi del novecento. L’inconciliabilità tra il mondo dell’arte e quello del profitto e dell’interesse era già stata rappresentata al massimo livello espressivo dai personaggi di Dorian Gray (Wilde - Il ritratto di Dorian Gray), Des Esseintes (Huysmans - A rebours) e Andrea Sperelli (D’Annunzio - Il piacere), in quel periodo che in letteratura viene comunemente conosciuto come Decadentismo. L’umanità descritta da Mann, tuttavia, pur consapevole del dissidio interiore che l’ affligge, non riesce a ripudiare il mondo a cui appartiene e di cui ammira in fondo le qualità di concretezza e praticità.
In ogni personaggio esiste una sorta di scissione interiore, anche in quelli che sembrano aderire con più convinzione ai valori borghesi tradizionali. È questo il caso di Tom, che da giovane rinuncia ad un amore sincero perché consapevole del compito che dovrà assumersi un giorno nella direzione dell’attività commerciale iniziata dai suoi avi e che in seguito dovrà accettare numerosi compromessi contrari alla sua natura e alla sua coscienza. La stessa Tony, incapace di accettare l’irrimediabile decadenza della famiglia, dopo aver sciupato la sua giovinezza contraendo matrimoni sbagliati, sempre con l’illusione di perpetuare quel benessere e quegli agi ai quali era abituata, trascorrerà gli anni del declino in un continuo e triste ricordo del passato. I personaggi però che meglio rappresentano la crisi d’inizio secolo e soprattutto la crisi dell’artista e dell’intellettuale sono Christian e Hanno. Il primo trascina la sua esistenza nell’incapacità di svolgere qualsiasi attività, attratto solo dalla musica e da tutto ciò che intorno a lui viene considerato superfluo e inutile. Paranoia e ipocondria lo accompagneranno per tutta la vita. È Hanno, però, il figlio di Tom, la vera vittima di questo mondo che emargina chi fa della propria sensibilità un modus vivendi. Hanno è un adolescente quando prende coscienza d’essere attratto più dalla musica che da ogni altra cosa. Il suo dramma si materializza nel momento in cui capisce che ciò è inconciliabile con il ruolo che gli è predestinato. Egli non ha una sufficiente carica vitalistica , una volontà morale abbastanza forte che possa aiutarlo ad affermare i suoi valori. Hanno, in quanto personaggio incapace di lottare per far emergere le qualità straordinarie di cui è dotato, anticipa “L’uomo senza qualità” di Musil. Hanno ha in sé quel desiderio di autodistruzione, di cupio dissolvi, che porta al definitivo tragico crollo.
Se Mann critica la chiusura della mentalità borghese nei confronti dell’arte e di tutto ciò che attiene allo spirito, egli tuttavia, diversamente dagli artisti decadenti, di essa ammira la concretezza e la solidità materiale capaci di procurare e mantenere il benessere. Mann, stesso, dunque, come uomo e come artista conosce e vive un drammatico dualismo: egli è a un tempo rispettabile borghese e “avventuriero dello spirito”.
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Commenti
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Ferruccio
Inutile dire che questo libro, anche per me, è un capolavoro.
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