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Processo all'indifferenza
Procedendo nella lettura una domanda continuava a insistere nella mia testa: dove vuole andare a parare? E’ stato necessario giungere all’ultima pagina per capirlo. Il fascino di questo libro, uno dei capisaldi dell’esistenzialismo e della produzione di Camus, risiede nel suo significato sempre sfuggente, che d’altronde ben si accompagna alla tematica centrale del romanzo: il rapporto dell’uomo con la vita e col mondo, due dei più immensi misteri in cui l’essere umano deve continuamente districarsi, giungendo talvolta ad esiti tanto più sconcertanti quanto più approfonditi.
" "Non hai dunque nessuna speranza e vivi pensando che morirai tutt'intero?". "Sì"- gli ho risposto. Allora ha abbassato la testa e si è rimesso a sedere. Mi ha detto che aveva pietà di me. Non credeva che un uomo potesse sopportare una simile cosa. Quanto a me, ho sentito soltanto che cominciavo ad annoiarmi."
Meursault è un uomo di origine francese che vive ad Algeri. La sua esistenza trascorre nel segno di un’inquietante indifferenza nei confronti del mondo circostante, che il protagonista sembra considerare altro da sé. E’ capace di non provare alcuna emozione in occasione della morte della madre, né tanto meno alcun sentimento amoroso nei confronti di Maria (se non desiderio fisico), che addirittura gli chiede di sposarlo ricevendo in risposta un sostanziale “per me è lo stesso”; i suoi rapporti umani sono segnati da un imperante sensazione di vacuità e apatia rispetto a qualsivoglia parvenza di moralità o giudizio. Il caso domina la vita di Meursault e il caso lo porterà a uccidere senza reale motivo un arabo. La seconda parte del romanzo è dunque dedicata al processo e alla prigionia dell’uomo, che affronterà il tutto in uno stato di impassibilità sconcertante, ritenendo inutile tanto tentare di discolparsi quanto, in alternativa, sentirsi in colpa. E’ per questo che il processo è incentrato, più che sul delitto commesso, sull’indifferenza generale di Meursault, interpretata da avvocati e giudice come una prova di un’insensibilità esente da pentimento e, soprattutto, da ogni speranza, tanto da indurlo a rifiutare persino Dio. Quest’uomo vive già da tempo come un condannato, poiché possiede una lucida coscienza del reale come mera apparenza.
“Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio uguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo.”
Lo scorrere del tempo e l’evolvere della vita non lo intaccano; sebbene scritto in prima persona, forte è infatti la sensazione che il protagonista-narratore racconti il tutto da una prospettiva esterna, che marca il suo straniamento dalla realtà.
Inevitabile arriva dunque per l’uomo la condanna a morte, che porta con sé l’acquisizione da parte di Meursault di un’ennesima verità negativa ma necessaria (come lo stesso Camus la definì in una prefazione) sull’assurdità di una vita comandata dal caso in cui si pretende dagli uomini che fingano un insostenibile amore o, ancora peggio, potere sulla vita! Solo a questo punto, nel silenzio, avviene dunque la riconciliazione dello “straniero” con il mondo:
“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio.”
Commenti
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Anche a me il libro è piaciuto, anche se non riesco ad amare l'arte di Camus (in particolare "La peste").
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