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Il paese delle meraviglie è davvero meraviglioso?
E' consuetudine definire meraviglioso qualcosa di fantastico, piacevole, fonte di gioia e di pace, o almeno questa è sempre stata la mia opinione sul significato del termine. Così, quando ho deciso di leggere l'opera di Carroll per la prima volta a 19 anni, pensavo di fare un breve viaggio nel mondo dell'infanzia, nella spensieratezza e nella leggerezza di quelli che forse sono gli anni migliori della nostra vita, persuasa dal fatto che un'avventura nel Paese delle Meraviglie, non potesse che avere un effetto benefico. Tuttavia, non appena scivoliamo insieme ad Alice nel misterioso tunnel che conduce in un luogo fantastico, fatto di animali parlanti e e bizzarri personaggi, ci rendiamo subito conto che niente è come sembra. Il Paese delle Meraviglie non è popolate da dolci e socievoli creature, ma da un coniglio elegantemente abbigliato che continua a provare ansia per un ritardo inspiegabile, da un bruco che fuma una pipa, da un gatto con un ghigno inquietante che appare e scompare a suo piacimento e da una spietata Regina di Cuori, che cola sua grottesca abitudine di condannare tutti a morte, sembra avere tutto tranne un cuore. Alice è stordita di fronte alla strampalata dimensione in cui è capitata e nel corso del suo viaggio non prova felicità e stupore come ci si potrebbe aspettare, ma solitudine e sconcerto. Nessuno vuole davvero trascorrere del tempo con lei, nessuno la ascolta né la prende in considerazione: ogni personaggio che popola il Paese delle Meraviglie tratta Alice come una ragazzina ingenua e non intende sopportare le sue continue, ma comunque giuste, obiezioni. Alice è costretta ad adattarsi alle strane caratteristiche e abitudini di quel mondo e così è sottoposta ad una mutazione continua sia fisica che mentale, tanto che inizia anche a perdere consapevolezza della propria identità, per quello che un bambino di sette anni può conoscere al riguardo. La follia, la stravaganza delle creature che incontra hanno uno strano effetto non solo sulla protagonista ma anche e soprattutto sul lettore che vede il Paese delle Meraviglie come un luogo grottesco e assurdo, ma che allo stesso tempo sembra più reale di quanto si possa immaginare. Il microcosmo creato da Carroll in fondo alla "buca del coniglio" è tutt'altro che un mondo adatto ai bambini, al contrario è ricco di insidie e di inspiegabili abitudini e manifesta, tra le righe, innumerevoli significati nascosti che lo rendono incredibilmente vicino all'età vittoriana. I giochi di parole, il nonsense contenuto nelle azioni ripetitive e monotone del cappellaio matto e della lepre che non proveranno mai una nuova esperienza se non quella di scorrere di un posto lungo la tavola imbandita per il tè, accentuano la percezione di una realtà statica e bigotta dominata dall'apparenza e dall'ordine, da cui molti scrittori del vittorianesimo tentano di fuggire attraverso le loro opere. Il Paese delle Meraviglie diviene così, proprio come l'Inghilterra dell'800, un luogo fatto di contraddizioni, di caos e di precisione, di sfrontatezza e di paura, di oscurità e di meraviglie, di fantasia e di realtà. Così, non lasciatevi ingannare dall'immagine della dolce Alice sapientemente disegnata da Tenniel, da un titolo che sa di favola perché Carroll scrive tutt'altro che un libro per bambini: è una storia sottile e ricca di significato che consiglio a qualsiasi genere di adulto.
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