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Una grandiosa marcia funebre
Gli ultimi cinquant’anni dell’Impero, con Francesco Giuseppe al trono, rappresentano il tentativo di conservare lo Stato nonostante tutti i segnali di un epilogo già in corso. È la decadenza, coi suoi rituali svuotati, le manovre in attesa di una guerra che si preannuncia fatale, il patriarcato cattolico, il mantenimento dell’ordine e dell’obbedienza nei sudditi, un imponente sistema pedagogico che mira al mantenimento di una cultura organica e sovranazionale. Il romanzo segue in parallelo la vicenda dei Trotta e quella dell’imperatore: un’epopea identificabile col declino di un’epoca che impasta burocrati e soldati, e che si regge su formalismi alienati, su una virilità che tace i sentimenti, incapace di manifestarli e, talvolta, di provarne. Tutto è un riverbero di fede (negli Asburgo, e in Dio), una sonnolenza di valori trasmessi con ottusità, per inerzia, di padre in figlio. Ci si sveglia quand’è troppo tardi, nel pieno di un incubo storico, e il pathos dilaga solo per dirsi addio, e morire.
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Ferruccio
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