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La morte della morale
Raffinato, ipotattico ed etereo, Mann ci costringe a parteggiare per il mostro, l'orco, l'eccitabile anziano che vorrebbe sedurre il bambino non ancora ragazzo.
Che lo guarda, lo spia, lo segue, mentendo a sé stesso, giustificandosi e ammantando blandamente quest'ossessione con l'epiteto, mai espresso, di pura pederastia.
Ma non è niente di tutto ciò, l'attrazione del vecchio Aschenbach per il ragazzo di cui non conosce neppure il nome è morbosa, anzi va oltre il morbo, il colera indiano che erode una Venezia già sanitariamente debole e fiaccata dalla canicola estiva.
Il breve romanzo fa apprezzare pienamente l'abilità espressiva e la ricchezza quasi barocca della prosa di Mann, che quasi sempre riesce nell'ardua impresa di utilizzare un linguaggio raffinato e ricercato senza tediare il lettore.
Certo, non sempre ci riuscirà, a volte parrà di doversi trascinare stancamente per qualche pagina in cui Mann non sembra far altro che ritirare intorno ad un medesimo concetto, ma bel complesso l'opera risulta relativamente scorrevole anche se certo non facile.
La morte a Venezia non è tanto quella fisica del protagonista, per la verità piuttosto prevedibile, quanto quella della sua morale mitteleuropea, contaminata dal clima meditteraneo e vacanziero e infine del tutto decaduta nel momento in cui egli pronuncia a sé stesso le fatidiche parole di un amore inconfessabile.
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"Ricchezza quasi barocca della prosa" : questo, secondo me, appesantisce un po' il fluire della scrittura.
A questo romanzo preferisco "La montagna incantata" e "I Buddenbrook".