Dettagli Recensione
Bloom
Dopo attenta lettura, esclusivamente in poltrona di casa ho finalmente terminato un romanzo che reputo corale e dove il ruolo del protagonista è diviso tra diversi personaggi. Pensavo d’aver tra le mani un autore quale un Thackeray, un Eliot, un Flaubert o un Zola, invece era proprio James Joyce col suo Ulisse. Per me è stata vera emozione affrontare l’opera così complessa e ricca di elementi che ha cambiato il corso della storia della letteratura del Novecento. Aiutato dapprima da una propedeutica ricerca iniziale sul cotesto storico, l’autore, le peripezie che ha subito la traduzione italiana, il flusso di coscienza, ecc., mi sono immerso per mesi dedicando un bel po’ del mio tempo libero. Avevo una traduzione classica, quella di Giulio De Angelis con la guida alla lettura di Giorgio Melchiorri che senza le loro indicazioni sarei sicuramente finita in una confusione totale.
Mi sono trovata, sin da subito, in una specie di contenitore di vita quotidiana, d’altronde Joyce è un prodotto dell’epoca vittoriana e ne usa e trasforma gli artifici stilistici; in questo caso la tradizione del romanzo corale gli permette di allargare lo spettro della narrazione trasformando però il coro in una dissonanza di voci, come avviene negli episodi di Ade, Eolo, o Rocce Erranti. Mi è parsa che la struttura del romanzo sia molto simile all’impaginazione di un quotidiano dove accanto al titolo principale d’apertura si trovano le notizie più diverse, dalla cronaca locale allo sport, dall’economia alla politica, dalle svariate rubriche alla noiosa e ripetitiva pubblicità dai colori e dalle forme più svariate e Joyce in questo, credo abbia cercato di riprodurre la simultaneità nella struttura corale del suo “Ulisse”. In quest’ottica narrativa ogni sezione ha propria dignità romanzesca, tutti i personaggi, anche i minori, compongono e completano il romanzo, rappresentano aspetti inespressi del protagonista.
È romanzo, quindi, costituito per blocchi di episodi autonomi che da molteplici punti di vista, tutti diversi e tutti sovrapponibili, colgono il protagonista durante una sua giornata dublinese precisamente il 16 giugno 1904. Il romanzo stilisticamente è devastante ed al tempo stesso disorienta perché spesse volte non fa capire i colloqui e chi effettivamente parli: si confondono i diversi punti di vista ed inoltre tutte le voci, compresenti e contraddittorie, sono sviluppate in parallelo anziché attorno ad un fulcro principale. Si ha, inoltre, la percezione di differenti quartieri di Dublino attraversati dal protagonista e dal suo alter ego ed anch’io, a volte, ho avvertito la sensazione d’essere in una città diversa a causa delle deviazioni fisiche o divagazioni dal tema principale. Non accade niente di clamoroso e proprio in questa normalità Joyce ha rappresentato un Ulisse epico, nevrotico, tradisce e viene tradito in una città che non sente sua. Come se la normalità, anche quella più insignificante e con i suoi riti quotidiani, entrasse nell’epica. Come se Joyce volesse guardare al microscopio l’infinito che c’è nel finito delle cose; è forse la definitiva chiusura di una plurisecolare esperienza espressiva, di cui rappresenta il sigillo ed il superamento al contempo.
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Commenti
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prima o poi lo farò, Ho già acquistato il tomo parecchio tempo fa.....
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La mia esperienza personale col libro non e' stata come la tua. Ne ho sicuramente rilevato la portata innovativa, la sua importanza letteraria e' fuori discussione, ma la lettura per me e' stata pesante e non ho alcuna voglia di rileggerlo.