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La fine di una vita
Ivan Il'ic è un giudice istruttore intelligente e perbene, che rispetta le regole, ama mescolarsi con gli ambienti altolocati e ci tiene a vivere “in modo piacevole e decoroso”.
Lo conosciamo già cadavere, circondato da colleghi compunti, accomunati da un sentimento inconfessato di gioia: “Accidenti, è morto; io no, invece”.
E’ palpabile e quasi comico il disagio dei vivi di fronte ad una situazione tragica da cui cercano di tenere le debite distanze, ma sono soprattutto le parole della vedova a darci la misura della solitudine disperata di un uomo moribondo: “Ha gridato per tre giorni interi, giorno e notte, senza smettere un momento. Era una cosa insopportabile”.
L’ombra sinistra della morte continua ad aleggiare anche nei successivi capitoli, almeno nella percezione del lettore che sa che il giovane vivace e di belle speranze Ivan Il'ic un giorno giacerà rigido, con il viso giallo e cereo.
La sua esistenza per vent’anni non subisce particolari scossoni: un lavoro di responsabilità svolto nel migliore dei modi, una moglie più o meno amata, due figli.
E poco importa se col passare del tempo la vita coniugale si fa insostenibile: ci sono sempre le soddisfazioni professionali e soprattutto le gioie certe di una partita a “vint” con gli amici.
La Morte lo fa cadere da una scala mentre sistema il drappeggio di una tenda (era tanto orgoglioso dell'arredamento di casa...), e anche se non si può razionalmente affermare che sia andata così, Ivan Il'ic è certo che quel sordo dolore al fianco sia iniziato proprio da quella caduta.
E' l'inizio della fine, e da questo punto in poi le pagine si fanno dolorose, di un'acutezza psicologica e di un realismo sorprendenti.
E' un calvario (“Perché, perché mi tormenti così orribilmente?”), un quadro a tinte fosche tratteggiato con la lucida descrizione dei tormenti fisici e morali di un malato incurabile.
La causa della malattia sembra alla fine concentrarsi su una frase formulata nell'acme della sofferenza, assunto inaccettabile per chi, come lui, si è sempre vantato di vivere secondo le regole:
“E' stato tutto sbagliato”.
Pochi scrittori sono capaci di passare dalla commedia, alla farsa, alla tragedia senza sbavature, e Tolstoj in questo piccolo capolavoro ci riesce pienamente.
Graffia ed emoziona con stile asciutto, attento a spiegare e ribadire i concetti più importanti, raccontando non tanto la morte di un uomo quanto la fine di una vita:
“Si può, si può fare qualcosa di giusto. Ma che cosa?”.
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Commenti
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Tolstoij sa parlare della morte come pochi (pochissimi) altri scrittori sanno fare: pensiamo alle pagine memorabili, in "Guerra e pace" , sulla morte del principe Andrej e su quella, di parto, della sua giovane moglie.
Solo - sulla lettrice che è in te - che quasi mai si abbandona alle mezze misure. :)
@Gracy: a proposito di veri capolavori... ;-)
Grazie Emilio!
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