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Diventare uomo è un viaggio
“Demian” è la storia di un viaggio nelle età e tra gli stati dell'animo, di una presa di coscienza nella quale ha grande importanza un incontro.
Sinclair è l'erede maschio di una ricca famiglia, bambino cresciuto nel culto della rispettabilità, del perbenismo, della religiosità. D'un tratto, tutto pare crollargli addosso: le conseguenze di una bugia (un fardello insuperabile per un ragazzino di dieci anni) lo mettono alla mercé di Kromer, un delinquentello a cui non par vero di poter ricattare il rampollo di un'agiata famiglia. Sinclair, incapace di reagire, si vede “sbiadire” nel peccato, sino al punto di sentirsi un'anima ormai perduta, precipitata in un mondo diverso da quello nel quale vive il resto della sua famiglia.
Sarà Demian, un compagno di classe, l'ultimo arrivato, a fronteggiare Kromer e farlo sparire dalla vita di Sinclair. Demian: maturo e misterioso, un ragazzo senza una vera età, capace di prevedere le mosse e le sensazioni delle persone attorno. Demian, che diventa per Sinclair una guida, sin da quando riesce ad aprirgli gli occhi sul vero significato della figura di Caino nella Bibbia.
Da quel momento in avanti, Sinclair perderà e ritroverà l'amico più volte, in una serie di vicissitudini che lo porteranno sino alla piena maturità giovanile; così come perderà e ritroverà se stesso molte volte, prima di capire esattamente quale sia il suo reale approdo.
Scrittore già affermato, ma ancora non giunto alla maturità di “Siddharta”, Hesse riversa in “Demian” le inquietudini di un periodo tormentato della sua vita: la sfera pubblica, con il consumarsi della prima guerra mondiale, e quella privata, con i profondi disaccordi e traumi della vita familiare, hanno riservato all'autore tedesco non poche difficoltà.
Sebbene questi aspetti abbiano fatto la fortuna del libro presso la gioventù dell'epoca, a leggerla oggi l'opera appare fin troppo carica; ciò soprattutto per i continui “balzi” tra diverse idee religiose: riferimento a pietismo, cattolicesimo, gnosticismo, si mescolano in una continua alternanza di concetti, che a volte sembra strabordare dalle pagine e “mangiarsi” la storia. Sotto tale aspetto, la lettura sembra consigliabile a un buon conoscitore delle religioni, e degli aspetti filosofici di queste in particolare. Agli occhi degli altri, infatti, il libro potrebbe addirittura apparire non del tutto decifrabile.
Coinvolgente la prima parte, che compie un prezioso excursus psicologico sulle scoperte più “difficoltose” di un bambino diviso tra un'impostazione familiare perbenista e le diverse sfaccettature, non sempre facilmente comprensibili, della realtà.
Ancor più belle le due pagine d'introduzione, che lo scrittore pare abbia aggiunto in tempi successivi (1960) rispetto alla prima stesura del libro (1919): un autentico inno al senso dell'uomo e al suo posto nell'universo.
Quanto allo stile, Hesse può sembrare più difficile di quanto in realtà sia: al prezzo – per chi non si appassioni alla storia – di far apparire la forma “respingente” tanto quanto il contenuto del libro.
Commenti
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però non ho grandi ricordi.
bella la tua recensione, accurata, chiara, mi ha fatto ritornare alla mente qualcosa.
parliamo certamente di un grande autore.
un saluto paola
un saluto paola
Grazie a te e a Paola per gli apprezzamenti alla recensione.
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H. Hesse ha sempre qualcosa da dirci, ma i suoi libri presentano un 'andamento' non sempre lineare.
La sua opera migliore, secondo me, è senza dubbio "Il gioco delle perle di vetro" (che ho intenzione di rileggere). Anche qui, però, accanto a pagine meravigliose e di grande fascino, ve ne sono altre non facili da 'attraversare'.