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Ma vissero felici i contenti?
“Emma, naturalmente, non si lasciò influenzare da questa prospettiva, anche se la sua stima per Elizabeth aumentò, e gli ospiti partirono senza di lei.”
Così finisce il libro “I Watson”, con buona pace dei lettori che sognavano un dolce lieto fine alla “Orgoglio e Pregiudizio”: Jane Austen è stata costretta a lasciare il manoscritto incompiuto dalla morte che l’ha colta nel 1817, con personaggi e intrecci che promettevano sviluppi interessanti in sospeso.
Emma Watson, allevata da ricchi zii fino all’adolescenza, è costretta a fare ritorno a casa alla morte dello zio, a cui è seguito il trasferimento della zia in Irlanda al braccio del nuovo marito: la ragazza dovrà affrontare il duro impatto del reinserimento in una famiglia che ha abbandonato in tenera età e che le è quindi estranea, squattrinata a causa dell’infermità del capofamiglia.
L’arrivo di Emma crea sensazione, anche solo per il suo aspetto grazioso e vagamente esotico, destando le attenzioni del paese e di gentiluomini come il taciturno Lord Osborne e lo scafato Tom Musgrave, attraverso i quali l’autrice riesce a gettare le basi degli intrecci amorosi che dominano anche le sue altre opere.
Della famiglia di Emma si riesce a sapere poco, se già si coglie la bontà e la semplicità della sorella Elizabeth, appena tratteggiate sono le altre due, Margaret, di umore volubile e priva di reale interesse verso la sorella ritrovata, e Penelope, la quale non fa nemmeno in tempo ad entrare in scena che già appare problematica.
Con il suo consueto stile fresco e frizzante, Jane Austen offre l’ennesimo spaccato inglese della sua epoca, con personaggi che possono assomigliarsi ma che non sono mai gli stessi, la solita sfilata carnevalesca di virtù e vizi che attira ogni volta molti spettatori.
L’atmosfera della campagna inglese è il perfetto miscelarsi di allegrie di balli, viaggi in calesse, partite a carte, ma la logica che regna sovrana, sempre a braccetto con il pettegolezzo più salace, è quella del matrimonio vantaggioso al più presto: unica tra le sorelle che non fa in tempo a sospirare per colpa di Cupido è proprio Emma, mentre le restanti sorelle hanno già sperimentato la loro dose di pene d’amore.
La febbre della “caccia al marito” è la malattia preferita nei romanzi della Austen, ogni mossa all’interno delle barriere di perfetta cortesia inglese e sullo sfondo la campagna che sembra cristallizzata, lontana dalla frenesia cittadina, ma animata briosamente dai personaggi che l’autrice mette in scena.
Resta da chiedersi se abbia senso leggere un libro senza finale; almeno per gli appassionati della Austen, la risposta è sicura: anche in un assaggio di romanzo, l’autrice stuzzica a sufficienza il lettore, tanto da fargli considerare preziosa la nota finale nell’ultima pagina, dove, tramite carteggi e diari, si riesce ad intuire qualcosa di più sul seguito.
Per i non appassionati, che facciano un tentativo: almeno avranno la possibilità di decidere come va a finire.