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Paradisi artificiali
 
Paradisi artificiali 2014-06-05 11:19:02 Queen D
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Queen D Opinione inserita da Queen D    05 Giugno, 2014
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Il paradiso a buon mercato

“Il tranquillo seduttore” e “Il demone turbolento”: ecco come Baudelaire definisce, riassumendoli, i due creatori dei famosi paradisi artificiali per eccellenza, l’oppio e l’hascisc.
Questo testo, del 1860, è un saggio, una conversazione dell’autore che cerca di erudire il lettore circa la natura, gli effetti e le “voluttà morbose” che provocano queste due droghe, non solo sul corpo umano, ma soprattutto sulla sua psiche.
Dunque, divide la struttura del testo in due parti: una prima, tutta frutto del suo pugno, dedicata all’hascisc, e una seconda, trasposizione analitica di due opere di De Quincey, “The Confessions of an English Opium-Eater” e “Suspiria de profundis”, interamente dedicata all’oppio.
Con un tono sorprendentemente leggiadro, assolutamente diretto e un tantino irriverente (e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di Baudelaire), l’autore ci descrive, nella prima parte, cos’è l’hascisc, da dove proviene, come viene prodotto e come può venir consumato, quindi tutta una serie di informazioni tecniche, per così dire; non dimentichiamo che stiamo leggendo un saggio e non un romanzo, quindi è una parte introduttiva necessaria.
Nonostante ciò, Baudelaire allieta la lettura con una serie di aneddoti che, se non fosse per la serietà del tema trattato, oserei definire esilaranti. Un esempio spicciolo, che arricchisce la descrizione degli effetti dell’hascisc nei primi momenti dell’assunzione: “Anzitutto una certa allegria, innaturale e irresistibile, che ti prende […] Il demone ti ha invaso; è inutile resistere a codesta ilarità. Di tanto in tanto, ridi di te, delle tue scemenze e della tua follia; e i tuoi compagni, se ne hai, rideranno anch’essi del tuo stato, e del loro, e tu non proverai rancore, giacché in loro non c’è malizia.”
Come non riconoscere in questa scena una chiara modernità?
Dopo la fase “teorica”, per così dire, Baudelaire passa alla spiegazione di quale sia l’effetto del veleno, come lo definisce, sulla parte spirituale dell’uomo, ovvero “l’amplificazione, deformazione ed esagerazione dei suoi sentimenti abituali, delle sue percezioni morali..” e lo fa creando un personaggio immaginario e sottoponendolo agli effetti della droga.
Una sorta di viaggio “fantastico” all’interno di un esperimento per ipotesi.
L’idea che l’autore trasmette dell’hascisc è assolutamente negativa, lo definisce un veleno, una stregoneria, un suicidio addirittura, lento ma inesorabile.
La cosa bizzarra però che ho notato è che, se da una parte condanna l’hascisc, dall’altra, con lo stesso fervore, assolve l’oppio, che viene ritenuto meno funesto, meno perturbante e meno nemico. Sarà perché egli stesso ne è assiduo consumatore (di oppio)? Perché, in qualche modo, vuole giustificarsi? Questa la mia impressione.
La seconda parte, come ho anticipato, analizza e traspone le due opere di De Quincey ( per il quale Baudelaire prova un sincero ed empatico affetto) dedicate alla sua vita da oppiomane.
Dunque Baudelaire ci immerge nel mondo dell’autore inglese, portandoci dalla sua tormentata infanzia, attraverso gli anni ad Oxford, alla sua vecchiaia, ormai consumato e schiavo della terribile droga. Anche qui il ritmo è scattante e mai stantio, una vera autobiografia, non creata per autoesaltazione, ma per il bisogno di far comprendere la gravità, ma allo stesso tempo l’unicità, della sua condizione.
Si alternano perciò dei passaggi filtrati e proposti con le parole di Baudelaire a dei passi virgolettati in prima persona tradotti direttamente dall’originale; ne viene fuori quindi un discorso molto intimo e toccante.
Il testo finisce con un epilogo non-epilogo, che lascia il lettore pieno di domande irrisolte, e credo che proprio in questo punto stia la genialità di questo saggio mai banale: Baudelaire si limita a esporre, a descrivere, per le decisioni più importanti lascia a noi il libero arbitrio.

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Baudealaire e De Quincey
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Commenti

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Interessante recensione, Dahlia.
Io, con Baudelaire, mi sono fermato a "I fiori del male".
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Queen D
06 Giugno, 2014
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il mio consiglio è di non fermarti..anche io lo consideravo solo il maestro della poesia, ma anche in questo testo saggistico si nota la sua vena ironica e speciale, quindi prova a leggere anche qualcos'altro di suo :)
Quanta "arte" sprecata a parlare di droghe.....
In risposta ad un precedente commento
Queen D
06 Giugno, 2014
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Il tuo dubbio è legittimo Glicine, ma considera il suo come un tentativo di distogliere gli ignari da quella via tortuosa rappresentata da sostanze molto in voga all'epoca, che non erano considerate droghe, ma erano viste come lo svago dei ricchi e dei benestanti o addirittura usate come medicine..una moda se vuoi, quindi un'attrattiva irresistibile..non considerare il tema centrale la droga in sé, ma gli effetti devastanti che queste provocano, quindi alla fine forse il suo intento è più nobile di quello che sembri in apparenza (ps:io sono di parte ;))
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GLICINE
06 Giugno, 2014
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Grazie Dahlia per la tua risposta, ma ti dirò,capirei il mettere in guardia dall'uso di sostanze, da parte di un ex-drogato, non da un assiduo consumatore di oppio...... Proprio non comprendo le buone intenzioni ( fate come vi dico, ma non come faccio!!!!), anche se la tal persona si chiamava Baudelaire...
In risposta ad un precedente commento
Queen D
08 Giugno, 2014
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È vero, è un po' contradditorio, ho avuto i tuoi stessi dubbi credendo che volesse in qualche modo giustificarsi riguardo l'assunzione dell'oppio..che dire?non conosco i suoi pensieri, ma di certo un saggio ha uno scopo documentaristico, quindi l'ho affrontato con questo spirito..certo devo dire di preferire di gran lunga le sue poesie
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