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Il capolavoro dell'orrido
All'esterno.
Nebbia cupa, nuvole pesanti, cielo spento. Un passaggio umido, sordido; un corridoio sporco e sinistro, con una parete pezzata come un lebbroso da una parte e con delle bettole impolverate e tetre dall'altra. Striscia putrefatta di un angolo di Parigi dimenticato, macabro teatro delle peggiori nefandezze: adulterio, prostituzione, omicidi, liti, pestaggi, urla, sevizie. Nessuno è risparmiato dall'aria sanguigna che aleggia in questo sepolcro a cielo aperto, in questa appestata topaia.
All'interno.
Un'anima dilaniata da nevrosi acute, da repressioni continue, da un continuo soffocare i propri istinti primordiali che dilaniano la carne, giorno dopo giorno.
Un'anima bestiale, sanguinolenta, facile all'ozio e alle mollezze del corpo, che mira all'appagamento dei propri rozzi piaceri, seguendo un'etica meschinamente utilitaristica.
È dall'incontro di questi due spiriti, uniti dall'immondezzaio che li soffoca, che traggono origine le atmosfere claustrofobiche e fetide che irrorarono quello che è stato definito da Oscar Wilde il “capolavoro dell'orrido”: Thérèse Raquin, uno dei primi romanzi del prolifico scrittore naturalista Émile Zola, pubblicato nel 1868.
Nel desolato e tetro passaggio del Pont-Neuf si trova una merceria impolverata con alloggio annesso in cui vive e lavora la dolce Madame Raquin con suo figlio Camille, impiegato, e la nipote e nuora Thérèse. Camille è un giovane gracile, smunto e debole che ha sofferto da bambino tutte le malattie possibili, superate grazie alle amabili cure della madre che lo ha terribilmente viziato, crescendolo nell'ambiente protetto e ovattato della tranquilla e amena cittadina di Vernon. Tuttavia Camille non ha mai ricambiato l'affetto materno e l'ha spinta a trasferirsi a Parigi per entrare in un ufficio amministrativo e potersi allontanare da questa, tronfio del proprio egoismo tipicamente borghese. Thérèse, figlia di donna algerina nota per la sua bellezza, è stata portata in Francia e lasciata dalla zia ancora in fasce. Non ha vissuto una sua infanzia, una sua adolescenza, sempre costretta a far compagnia al cuginetto malaticcio, chiusa in casa, lei spirito libero, passionale, ardente, selvaggio. Thérèse ha sviluppato una doppia personalità: all'apparenza è silenziosa, remissiva ma nella realtà i suoi istinti passionali pulsano energicamente. Drammatico è stato il trasferimento a Parigi: reclusa in quella topaia di merceria, si sente sepolta e i suoi nervi non riescono più a reggere la farsa. Ed è qui che entra in scena Laurent, amico d'infanzia di Camille, possente, muscoloso, ma estremamente pigro e utilitarista. Per soddisfare i propri piaceri carnali e avere allo stesso tempo un pasto caldo a casa Raquin ogni sera, decide di iniziare un rapporto illecito con la Thérèse che, incredibilmente, lo travolgerà con la propria passione e la propria sensualità per anni repressa. Ma il triangolo non può durare a lungo, così i due organizzano e compiono un omicidio efferato per cercare di appagare i loro vizi, ma questo porterà i due amanti alla pazzia e ad un tragico epilogo...
È un'opera che colpisce per l'asprezza del linguaggio. Non vi sono eufemismi, la nuda verità viene gettata in faccia al lettore che la sente come un pugno allo stomaco. Immagini atroci lo torturano, atmosfere funeree lo asfissiano, parole troppo affilate lo trafiggono, senza alcuna pietà. Zola non risparmia niente e nessuno: è un chirurgo che sta dissezionando due cadaveri. Non importa se hanno tradito, ingannato, ucciso. A giudicare ci penseranno i moralisti, il suo compito è analizzare il loro corpo, la loro psiche, le loro azioni. Thérèse Raquin, come l'autore stesso scrive nella sua prefazione, si prefigura come “lo studio di un insolito caso fisiologico”. Questo romanzo rappresenta una svolta in chiave naturalista nella produzione dell'autore ma ancora permangono elementi del romanzo nero tardo-romantico. Zola, talvolta, perde la propria personalità calcando troppo la mano sul macabro e il romanzato, forzando così la narrazione.
Nonostante queste sottili sbavature, Thérèse Raquin rappresenta un'egregia tela a tinte forti in cui predominano il grigio, il nero e il rosso. Creature mostruose, abissi senza fondo, incubi , fantasmi, allucinazioni la animano. Una tela che a prima vista causa degli intensi bruciori agli occhi, ma che, superata la crisi, non si può non apprezzare perché ritrae l'angolo più oscuro, più demoniaco che alberga nel nostro animo. Buona lettura!
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A presto!
Ciao,
Bruno
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