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La forza delle donne
Nel gennaio 1848 la rivista Westminster Review definiva questo libro “il più bel romanzo dell’anno” tanto che in pochi mesi raggiunse una popolarità incredibile.
Il suo successo era forse dovuto alla capacità dell’autrice, che ancora si firmava al maschile, di intessere una trama ricca di colpi di scena, di caratterizzazione dei personaggi principali e non con una sapienza pari agli scrittori del realismo francese consumato, ma, a mio modesto parere, l’amore che subito ha infuso negli animi dei lettori questa innocente, eppur grintosa ragazza dall’infanzia ffortunata, è dovuta al suo desiderio di emancipazione.
Attraverso il suo personaggio principale Charlotte Bronte descrive una donna che lavora per mantenersi, che pone, secondo la critica attuale, i suoi desideri al di sopra delle aspettative degli altri e, che, soprattutto, non si piega alla logica conformista per i cui dettami il sesso fragile debba sottostare ai desideri degli uomini, veri e soli padroni di casa.
Tutto questo sembra scontrarsi con la fisicità della protagonista ed i suoi modi di fare: esile, arrendevole ed attenta a misurare le parole appena arriva nella bella tenuta di casa Rochester, cui successivamente si contrappone la sicurezza ed una sana autostima quando ha conquistato il cuore dei bambini a cui fa da governante e, in ultima battuta, nel momento in cui sente ricambiato il proprio amore dal padre dei fanciulli.
A primo sguardo ci sarebbero tutti i presupposti per un lieto fine: la ragazza abbandonata in un orfanotrofio che trova l’appagamento dei sensi in un uomo più grande di lei, ma affascinante e colto, una bellissima residenza di campagna in cui crescere i figli di lui che, grazie all’amore ed alle cure quotidiane, sono diventati anche figli suoi e la possibilità di scardinarsi da un passato gelido e senza affetto. Se così fosse, non si distinguerebbe dai romanzi rosa di tutte le epoche, anche attuali, che celebrano il “vissero tutti felici e contenti”.
Ma proprio quando tutto sembra accomodarsi per il meglio, la sinistra follia appare, inquietante, nella vita gioiosa della giovane governante sparigliano gli equilibri che, con tanta difficoltà, erano stato creati da lei e dal bellissimo Rochester.
L’inganno di lui fa retrocedere lei dal desiderio ingenuo di sposarlo, la sofferenza per un amore perduto si fa così prepotente che la ragazza scappa via, dorme all’addiaccio per tre giorni e poi viene salvata e curata dal vicario River che vorrebbe potersi far strada nel suo cuore in un matrimonio-prigione. In altre parole in questo romanzo si assiste a tutti i moti dell’animo di una ragazza intelligente, volitiva, pur se nell’aspetto esteriore un po’ fragile, ma che riesce con convinzione ad essere padrona della sua vita.
La vicenda si snoda in una cornice ambientale meravigliosa, dove la natura campestre è cangiante in base agli stati del cuore di lei: è accogliente e rigogliosa quando vive felice nella tenuta Rochester, mentre appare inospitale e fredda quando si sente nuovamente scacciata via, proprio come quando era solo una bambina.
Lo consiglio a tutti i tipi di lettori: ho letto questo libro per la prima volta durante l’adolescenza e me ne sono innamorata con un sentimento che mi prende anche ora, quando l'età della fanciullezza si allontana irrimediabilmente!