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L’amaro sapore della vendetta
Non si può restare indifferenti di fronte a un romanzo che sembra incarnare lo spirito di rivincita di chi ha sempre subito. È uno di quei testi talmente ben congegnati che mi viene da definirlo il capostipite di tante fiction che con ormai con quotidianità ci vengono propinate dalle varie reti televisive.
La vicenda di Edmond Dantès, incarcerato ingiustamente e che, fatta la conoscenza con un vecchio prigioniero (l’abate Faria) riesce a evadere grazie a uno stratagemma, arricchendosi con un favoloso tesoro trovato sull’isola di Montecristo è già di per sé densa di accadimenti e di emozioni, ma se poi vi si aggiunge la vendetta perpetrata sotto falso nome (appunto conte di Montecristo) porta il lettore a uno stato di tensione del tutto particolare e rilevante. Ma l’abilità di Dumas non sta solo nella sua capacità di aver articolato una trama così ben congegnata, ma anche nell’attenta analisi psicologica dei protagonisti, una cura tale da rendere ben avvertibili le atmosfere. Scrivere però del solo conte di Montecristo sarebbe un errore imperdonabile, perché l’autore, affinché i lettori dell’epoca potessero comprendere appieno tutta la storia e si entusiasmassero quindi ad essa, fa rivestire altri panni a Edmond Dantés, e così abbiamo Lord Wilmore, un nobile inglese prodigo di buone azioni, Sinbad il marinaio che salverà la famiglia Morrel dalla bancarotta e infine l’abate Busoni, a cui ricorrerà per far valere la reverente autorità religiosa. Insomma, Edomond Dantes diventa un antesignano di Fregoli. In breve dico solo che il protagonista riuscirà a guadagnare la fiducia di quei nemici che l’avevano fatto incarcerare, distruggendo poco a poco le loro vite e le loro famiglie, senza che gli stessi arrivino a nutrire il benché minimo sospetto, almeno fino al colpo di scena finale.
Ma la vendetta lascia sempre con l’amaro in bocca e il vero valore dell’opera emerge quando Dantés si renderà conto che i quattordici anni trascorsi in galera e gli altri utilizzati per cercare di placare il suo odio sono irrimediabilmente trascorsi e che nessuno potrà più restituirglieli; preso atto di una sostanziale sconfitta perché la vendetta non può mai sanare quanto patito, subentrerà il desiderio di ritornare a essere l’onesto e semplice Edmond Dantes di prima della condanna e l’unica via con cui è attuabile è stravolgere quel fuoco che prima gli bruciava dentro e che ora già accenna a smorzarsi. Il rilevare d’essere sceso al livello dei suoi rivali, anzi addirittura anche più in basso è un risveglio della sua coscienza. Quindi, per poter tornare a vivere secondo la sua originaria personalità l’unica via percorribile è quella del perdono e della redenzione, ed è quello che farà.
E così si chiude un cerchio in cui vengono affrontati, secondo un ordine rigorosamente logico, temi basilari in un essere umano quali la giustizia, la vendetta, il perdono e la pietà.
Benché, per certi aspetti presenti le caratteristiche dei romanzi popolari dell’epoca, è proprio il modo con cui Dumas affronta queste tematiche che finiscono con il renderlo un’opera ancora attuale, facendolo rientrare nei grandi classici che non avvertono il trascorrere del tempo.
Mi pare ovvio che, per stile, per contenuti, per struttura, per svolgimento della vicenda stessa la lettura de Il conte di Montecristo sia sen’altro da raccomandare.