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Lucien Leuwen
 
Lucien Leuwen 2014-02-27 15:31:22 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    27 Febbraio, 2014
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Un romanzo antieroico

I grandi romanzi di Stendhal sono Il rosso e il nero e La Certosa di Parma, a cui sarebbe aggiungerne un terzo, che, rimasto incompiuto, è stato pubblicato postumo. E del resto basta arrivare all’ultima pagina di Lucien Leuwen per comprendere che l’autore non aveva l’intenzione che terminasse lì, tanto è evidente la cesura, una chiusura netta in un discorso che induce il lettore a pensare a un errore. Purtroppo non è così, perché l’opera, che forse avrebbe potuto riuscire la migliore fra quelle scritte da Stendhal, non poté essere ultimata per la sua improvvisa morte avvenuta nel marzo del 1842. Da ciò che ha scritto, ed è molto, è più che logico pensare che questo romanzo della maturità avrebbe potuto essere il suo capolavoro assoluto, frutto come gli altri di un’attenta analisi dell’ epoca, in cui si riflette più che mai il suo pensiero critico, con una nota malinconica velata da una sottile ironia. E dato che la storia presenta sempre dei ricorsi, a scorrere questa pagine, in cui così sapientemente Stendhal è riuscito a darci un quadro chiara della Francia sotto Louis Philippe - una repubblica succeduta alla monarchia e che, come tale avrebbe dovuto essere progressista, e che invece si concretizzò in una restaurazione senza speranze di cambiamento - viene da pensare ai giorni nostri, al quadro di corruzione, di apparenze sotto cui si cela il niente, a una realtà che supera perfino la fantasia e che spegne il benché minimo ideale, il più esiguo sogno, in una certezza atroce che se esiste l’oggi, non ci sarà che un domani uguale al grigio odierno.
Lucien Leuwen è un antieroe, non certo nel senso militare del termine; infatti, anziché cercare di affermare la propria personalità, resta inerte e timoroso della realtà; la sua vita è una parabola di insuccessi a cui va incontro con rassegnazione; eppure, cresciuto nell’ambiente dell’alta borghesia finanziaria, a lui è aperta ogni porta e così da tenente dei lancieri nella modesta cittadina di Nancy, dove ha modo di conoscere e di frequentare una vedova bella, nobile, di spirito reazionario, riesce a diventare segretario d’ambasciata a Roma. Il suo problema è la convinzione di vivere in un mondo che non gli appartiene. E’ evidente che con una base simile, nonostante i rilevanti appoggi, sia inevitabile che vada incontro a delle sconfitte, costretto a essere partecipe di quella società che non ama, succube delle costanti pressioni del padre, che è un ricco banchiere, nonché un affarista politico. In questa condizione finisce con il diventare un vero e proprio ipocrita, non tanto per procurarsi dei vantaggi, quanto per la necessità di non doversi ribellare al genitore e all’ambiente, azione che richiederebbe un coraggio che lui non ha.
In una costante di tutta la narrativa stendhaliana c’è molto di autobiografico ed è così anche in questo romanzo, a partire dal padre, che ha una strana rassomiglianza di comportamento con quella del genitore dell’autore, ma anche Lucien Leuwen ha qualcosa di Henry Bayle, come la carriera diplomatica che è comune (ricordiamo che Henry Beyle fu console francese a Civitavecchia, in rappresentanza di quel paese, la cui classe dirigente detestava, quindi con un’ipocrisia nemmeno tanto celata); vedo rassomiglianze anche nel rapporto amoroso del protagonista con Batilde de Chasteller, il cui nome non a caso è pressoché uguale a quello della donna più amata da Stendhal ( Matilde Dembowski ).
Insomma, una volta di più ci si rende conto di come il grande narratore francese nelle sue opere abbia profuso non solo le sue idee, ma abbia trasposto anche parte dell’esistenza, una serie di autoritratti parziali e perfino, come in Lucien Leuwen, una confessione della propria condizione, uno sfogo di chi avvertiva la sua estraneità a un’epoca, ma che tuttavia cercava di esservi ben presente, traendone anche vantaggi.
Vien da dire, pertanto, che questo fenomenale scrittore ha di fatto scritto e riscritto, nei suoi romanzi, la sua autobiografia, e con una sincerità a volte perfino commovente, come in Vita di Henry Brulard; i suoi personaggi sono la sua immagine speculare, magari un po’ deformata da una curvatura dello specchio, ed è per questo, nonostante il parto di fantasia che già inizia dal nome, che ne avvertiamo l’autenticità, senza forzature, come appunto nel caso di Lucien Leuwen.
Come sarebbe potuto andare a finire se non fosse venuto a mancare? Senz’altro con un ritorno a Parigi, ma poi per quel che sarebbe stato delle esistenze di Lucien Leuwen – Henry Bayle non può che restare una lunga serie di pagine bianche.

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Consigliato a chi ha letto...
Il rosso e il nero, La certosa di Patma, entrambi di stendhal.
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