Dettagli Recensione
Pensavo fosse amore, invece era vendetta...
Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l'erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo:
e fu certo l'elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba di ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!
Eugenio Montale, traduzione di La Tempesta di Emily Dickinson
Ho trovato questa poesia per caso su un articolo mentre leggevo questo romanzo e subito mi è sembrata la trasposizione allegorica oltre oceano di Heathcliff, personaggio fulcro di questa storia attorno al quale ruotano tutte le vicende. Mi è sembrata una perfetta introduzione a ques’opera, poiché tanto bene si adatta nelle parole e nel significato al tema costante del racconto e dà un primo incipit sulla forgiatura del protagonista che incontreremo.
La narrazione inizia “in medias res” (nel mezzo dei fatti) e si snoda in una lunga analessi affidata alla memoria delle due voci narranti: il Sig. Lockwood e la governante Nelly.
Heathcliff varcherà le soglie di Cime Tempestose, nome della dimora del suo benefattore arroccata su di una collina, nella selvaggia e aspra bruchiera dello Yorkshire spazzata da forti venti, con lo stesso impeto e violenza descritti nella poesia, portando tormento e distruzione nelle vite dei suoi abitanti, i quali soccomberanno inesorabilemte sotto il peso della sua lucida follia vendicativa senza potervisi opporre. Heathcliff e Cathy si amano con la stessa intensità con cui si odiano, due anime simili per natura e diverse per estrazione sociale che daranno vita ad una passione distruttiva.
Non gli eventi o il destino avverso, ma l’egoismo e i capricci di Cathy, la rabbia e l’orgoglio di Heathcliff porteranno alla loro separazione.
Egli se ne andrà, ma al suo ritorno avrà maturato in sé una vendetta solenne: un turbine di bieche emozini esploderà, trafiggendo con schegge d’ira e astio le vite dei membri di due famiglie gli Earnshaw e i Linton e riverserà la sua ossesione malata sulle esistenze di due generazioni. La vendetta si placherà solo quando il battito della fonte di tanto rancore avrà trovato la sua quiete.
Lo stile di Emily è elegante e maestoso, senza nessun cedimento strutturale. Con abile mano scolpisce la psiche e le caratteristiche dei suoi personaggi plasmando sculture granitiche. Granitiche perché algide nei sentimenti, granitiche perchè immutevoli; lungo tutto il racconto saranno mossi dai loro sentimenti malsani, non un mutamento o una parvenza a diventar nobili d’animo. La Bronte scaglia a terra il cristallo dell’amore e dal prisma di colori che ne esce decide di attingere solo le tonalità più cupe e buie, tessendo un’intricata storia senza possibilità di redenzione per alcuno.
Ed è qui che a parer mio sta l’immortalità di quest’opera, nello stile innovativo e nell’audacia dei contenuti, che se si pensa al contesto storico nella quale è stata scritta, la rendono unica nel suo genere. Una sorta di congiunzione tra analisi psicologica e critica sociale che va a creare un precedente solitario destinato a durare nel tempo, un urlo che si inalza come assolo nel coro della narrativa romantica vittoriana.
Eppure, nonostante riconosca la bravura nella penna della scrittrice, ho trovato questa lettura claustrofobica, con questa cattiveria che permanea per tutta la storia, come un morbo letale che soffoca. Una spietata vendetta blandamente vestita coi toni pastello dell’amore. Perché se di amore si vuol parlare, allora bisogna parlare di un amore malato, non di quello che allieta e nutre l’anima e il corpo ma di quello che sfibra e corrode come un male che dall’interno cresce e dilania tutto ciò che incntra. Perfino le poche frasi veramente profonde ho trovato stonassero come due zollette di zucchero in un infuso di cicuta. Se tanto devi uccidermi che me le metti a fare?
Questo senso di disfatta e minaccia incombente che trapela da ogni gesto e da ogni parola dei personaggi mi ha fatto accostare Cime tempestose, più che ad un romanzo, ad una tragedia greca.
Abbiate pazienza, concedetemelo, ma io l’aggettivo romantica a questa storia “d’amore” proprio non riesco ad attribuirglielo.
Heathcliff e Cathy sono detestabili all’inverosimile e neppure la buona volontà di volerci trovare un barlume di compassione, mi ha evitao l’impulso di volerli soffocare dopo pochi capitoli.
L’ho trovato un romanzo splendidamente scritto ma dai toni troppo foschi e in fin dei conti i due protagonisti hanno scelto da loro il proprio destino!
Così al termine della lettura, partendo dal presupposto che mai in vita mia vorrei vivere una storia come questa, mi è sorta spontanea la domanda, rivolta soprattutto a che ritiene invece che sia una delle storie più romantiche e appassionate mai scritte: dovvero sareste disposti a vivere nell’infelicità e nella frustazione, vorreste un amore tumultuoso come quello di Heathcliff e Cathy, nella speranza forse un giorno di saltellare felici tra le nuvole del paradiso mano nella mano con il vostro/a amato/a?
Cime Tempestose rimane comunque un classico e come tale penso debba essere letto per arricchire con un tassello in più quel grande mosaico che è la cultura letteraria di ognuno.
In fin dei conti che un libro lo si apprezzi in maniera assoluta, solo in parte, o che lasci totalmente indifferenti, non priverà mai nessun lettore di qualcosa ma sicuramente donerà qualcosa in più.
Buona lettura
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Commenti
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E poi la citazione di Dickinson/Montale... un'occasione per leggere versi stupendi.
Bruno
P.s.: mi hai fatto venire la voglia di commentare Wuthering Heights, mi sa che prima o poi ci casco... :)
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Ciao, Daniela