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Volare per il gusto di volare
Un anno fa (era il 1° settembre 2012) mi ha molto colpito la notizia dell’incidente a Richard Bach, l’autore de “Il gabbiano Jonathan Livingstone”, un cult degli anni settanta, una lettura allora d’obbligo nel clima post sessantottino, sussulto di spiritualità e prodromo della new age. Oggi “il gabbiano” è divenuto un classico.
Bach fu pilota riservista per l’US Air Force e pilota acrobatico (e come non pensare a un altro pilota-scrittore, l’Antoine de Saint Exupéry del Petit Prince?): dalla sua esperienza di aviatore trasse spunti per scrivere manuali tecnici di volo e le successive opere di narrativa, tra le quali “il gabbiano “per l’appunto.
La fiaba di Jonathan è sempre stata considerata una metafora: secondo l’interpretazione prevalente le vicende del gabbiano rappresentano la tensione alla perfezione (“Puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri”), la purezza del pensiero (“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.”), la ricerca della felicità (“Se superi il tempo e lo spazio, non vi sarà nient'altro che l'Adesso e il Qui, il Qui e l'Adesso”), il rifiuto del conformismo (“Bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c'è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi. È questo che intendo io per amore. E ci provi anche gusto, una volta afferrato lo spirito del gioco”). E molto altro.
L’incidente aereo del 2012 è accaduto mentre lo scrittore si stava recando da un amico sull'isola di san Juan: durante l'atterraggio l’idrovolante ha agganciato un cavo elettrico.
Questa notizia mi ha ispirato l’idea di una lettura del “gabbiano” più aderente alle parole del racconto nella considerazione che troppo spesso, nelle cose, ricerchiamo significati reconditi o nascosti. Senza pensare che le cose, in fondo, potrebbero anche essere nient’altro che quello che sono: allora il volo di Jonathan rimane il volo di un gabbiano e il mondo superiore che Jonathan raggiunge non è un ideale, ma una dimensione reale (“Il paradiso non è un luogo. Non si trova nello spazio, e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti”).
In questa prospettiva, rileggere l’opera spogliandosi delle sovrastrutture culturali significa assaporare il piacere – anche soltanto mentale - di volare, librarsi, imparare tecniche di sospensione, cabrare e planare, sperando – in un’attività che sembra negata all’uomo sul piano fisico – di poter essere finalmente liberi e felici.
Per la cronaca, dopo quattro mesi dal terribile incidente, Richard Bach è stato dimesso dall'ospedale e ha dichiarato che da questa esperienza ha tratto l'ispirazione per il completamento della quarta parte de “Il gabbiano Jonathan Livingstone”. Come dire che il gabbiano perde qualche penna, ma non il vizio!
Bruno Elpis
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Commenti
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;-)
anche io come Cub amo avere notizie sull'autore di cui leggo di volta in volta, anzi lo reputo un passaggio obbligato per comprenderne i contenuti della sua scrittura...
Io l'unico gabbiano Jonathan che ho ammirato per le risate suscitate è il Jonathan della Massironi in "Tel chi el telùn"...sono cinica? Magari lo rileggerò più avanti...non era il momento adatto anni fa quando lo lessi la prima volta! Forse....cinica gracy :P
Bravo davvero!
Dany
Gracy, gabbianella ironica! :-)
Vi abbraccio, vi guarderò volare.
Bruno
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Un carissimo saluto a te Bruno...che proprio ieri "MI HAI FATTO VOLARE"...spero tu te ne sia reso conto... :D
"Amicissima" ....Pia