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L'insetto sublime
Il primo capitolo del breve romanzo si gioca sul filo del comico-grottesco.
L'impiegato Gregor Samsa, solerte e vagamente frustrato, si risveglia trasformato in un insetto mostruoso. “Non era un sogno” - si precisa subito.
La cosa singolare è che Gregor prende atto della situazione quasi con noncuranza, preoccupandosi più che altro del suo ritardo al lavoro e di non riuscire ad alzarsi dal letto, impacciato com'è nei movimenti.
Ed ecco la tipica situazione kafkiana, quel crescendo di drammaticità che nel lettore si preannuncia con leggeri brividi suscitati da frasi fortuite (non ha più gambe ma “zampette”, non cammina ma “striscia”), mentre il tenace ottimismo del protagonista-vittima appare sempre più fuori luogo.
E' già la fine, ma lui ancora non lo sa.
La pietà mista a repulsione della madre e della sorella, il senso di colpa per non poter più mantenere la famiglia e pagare i debiti del padre gli gravano addosso, insieme ai calci sferrati dal genitore rabbioso e disgustato.
Il cappio si stringe sempre più, gli si fa terra bruciata intorno, il rifugio della sua stanza diventa “tana”, e col tempo la pietà dei familiari lascia il posto a risentimento e disprezzo, mentre la sua testa di insetto si allunga invano cercando una carezza. E' ancora lui, cerca di farsi comprendere attraverso parole che somigliano a squittii, ma non vogliono più riconoscerlo: “Dobbiamo tentare di liberarcene”.
Gregor Samsa è anche Franz Kafka, uomo sublime che si credeva abietto, figlio inadeguato di un padre che lo avrebbe voluto socio in affari.
Kafka/Samsa che sa di dover scomparire, col cuore gonfio di amore inutile.
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